“Il vaccino protegge dalla malattia. Ma, da vaccinato, posso andare in giro sicuro al 100%? La risposta è no“. Questo il commento di Ilaria Capua, direttore del One Health Center of Excellence for Research and Training dell’università della Florida, l’altro ieri sera a Di Martedì su La7. “Se lei, Giovanni Floris, si vaccina contro il Covid, non si ammala. Ma può infettarsi e trasmettere quell ’infezione“.
Oggi il Fatto Quotidiano ha chiesto alla scienziata di precisare meglio le sue parole: “L’infezione è una cosa e la malattia un’altra. Il virus quando infetta una persona si replica nelle prime vie respiratorie, per esempio dieci particelle virali possono diventare molte centinaia o migliaia. Il vaccino impedisce che entrino nel sangue diventando 100 mila o un milione. La persona non si ammala ma il virus c’è, quindi può trasmetterlo. Così sarà fino al raggiungimento dell ’immunità di gregge (il 60/70% di popolazione vaccinata secondo il ministero della Salute, ndr). È un problema di molti vaccini, pochissimi danno immunità sterile“.
Ma non tutti sembrano essere d’accordo con Capua. Il virologo Roberto Burioni ha risposto ricordando i precedenti storici degli altri vaccini: “Gira la notizia che (in generale) i vaccinati sono protetti ma possono trasmettere la malattia. Questo non è vero. Per morbillo, rosolia, parotite o varicella – e qui mi fermo ma la lista è lunga – chi è vaccinato non può essere infettato e non può trasmettere la malattia“.
E non la pensa così nemmeno Giuseppe Pontrelli, epidemiologo, ex Istituto superiore di Sanità: “Un vaccino previene l’infezione, la malattia, o più frequentemente entrambe le cose. I protocolli sperimentali dei vaccini anti-Covid in studio hanno come obiettivo primario la prevenzione della malattia, cioè per prima cosa si sono contati i casi con malattia da Covid 19 tra i volontari che avevano ricevuto il vaccino o il placebo, in gran parte polmonite. Non sono stati ancora comunicati i dati sugli obiettivi secondari, quali la prevenzione dell ’infezione, andando quindi a contare anche i pazienti infetti e asintomatici, in grado di propagare l’infezione. È dunque necessario rendere al più presto disponibili tutti i dati, anche alla comunità scientifica”.