Con una sentenza depositata ieri, giovedì 30 settembre, la Corte di Cassazione ha stabilito che debbano essere pagate le tasse sulle mance ottenute attraverso la propria prestazione lavorativa. Finora la circolare 3/2008 dell’Agenzia delle Entrate escludeva dalla tassazione le donazioni di valore limitato, facendo riferimento all’articolo 783 del Codice civile: la sentenza della Cortechiarisce tuttavia che le mance vanno considerate parte del reddito da lavoro dipendente, sia a fini fiscali che a fini contributivi.
Nel formulare la sentenza, la Corte di Cassazione ha accolto un ricorso che era stato presentato dall’Agenzia delle Entrate rispetto a un dipendente di un hotel di lusso della Costa Smeralda, in Sardegna, che in un anno aveva guadagnato circa 84mila euro soltanto in mance. L’Agenzia delle Entrate aveva considerato il totale delle mance ricevute come reddito da lavoro dipendente non dichiarato: la Commissione tributaria regionale, a cui si era rivolto il contribuente, aveva però dato ragione al lavoratore, sostenendo che le mance non potessero essere considerate tassabili perché tra le altre cose erano arrivate direttamente dai clienti, senza l’interazione con il datore di lavoro.
La Corte ha specificato che in base all’articolo 51 del Testo Unico delle imposte sui redditi il concetto di reddito da lavoro dipendente non è limitato esclusivamente al salario corrisposto dal datore di lavoro, ma comprende anche tutte le somme percepite nell’ambito del rapporto di lavoro: tra queste ci sono appunto le mance, «sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo affidamento».
Secondo la Corte «le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del Dpr 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione».
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