Parigi: Quello che è accaduto alle Olimpiadi di Parigi 2024 durante l’incontro valido per gli ottavi di finale di pugilato femminile categoria -66kg ha dell’incredibile.
46” tanto è durato l’attesissimo e discussissimo incontro tra l’italiana Angela Carini e l’Algerina Imane Khelif. Il tempo che quest’ultima assestasse un paio di colpi prima che l’italiana decidesse di ritirarsi.
L’atleta dell’Algeria, negli ultimi giorni, era finita nel mirino della stampa – e della politica – perché “accusata” di essere un’atleta transgender. Tesi abbastanza debole se si considera che l’Algeria vieta qualsiasi tipo di transizione di genere. Eppure, la polemica, rafforzata da chi porta avanti teorie transfobiche, è montata al punto che diversi esponenti del nostro governo hanno preso parola a riguardo. La stessa premier Meloni – direttamente da Parigi – aveva bollato l’incontro come “una gara non equa”.
È utile, a questo punto, chiarire che l’atleta algerina è donna sin dalla nascita come ha sottolineato la genetista Silvia Camporesi: “è una donna. Da quello che leggo, è una persona con “variazioni delle caratteristiche del sesso” (Vcs), che possono comportare anche iperandrogenismo, cioè una produzione di ormoni superiori a una ipotetica media femminile. I fattori in gioco sono diversi, per esempio «la sindrome dell’ovaio policistico. Colpisce fra l’8 e il 13 per cento delle donne”. L’atleta algerina, quindi, non è un uomo, non è un transgender né tanto meno un intersex come sostenuto sui suoi social dal ministro per la famiglia Roccella.
Alla luce di quanto scritto appare ancora meno comprensibile l’atteggiamento di Angela Carini che, non appena ufficializzata la sconfitta, si è lasciata scappare un chiarissimo “non è giusto” prima di scoppiare in lacrime ed evitare di salutare (e segnare di uno sguardo) l’avversaria come se quest’ultima le avesse fatto qualcosa o avesse avuto comportamenti poco sportivi. Sensazione confermata dalle dichiarazioni che ha rilasciato immediatamente dopo la fine dell’incontro: “Ero salita sul ring per combattere. Non mi sono arresa, ma un pugno mi ha fatto troppo male e dunque ho detto basta. Esco a testa alta. Mi faceva troppo male il naso, non potevo andare avanti e mi sono detta che dovevo fermarmi. Poteva essere il match della mia vita, ma ho dovuto pensare a salvaguardare la mia incolumità. Sentivo di doverlo fare, anche se non ho mai avuto paura di salire su un ring. Ho disputato tanti match in nazionale e ho fatto i guanti tante volte anche con uomini, anche mio fratello, ma oggi ho sentito troppo dolore”.
Quello che, invece, è decisamente più comprensibile (ed altrettanto criticabile) è l’atteggiamento della destra italiana che non ha perso occasione pe cavalcare la polemica e sferrare l’ennesimo attacco alla comunità lgbtqia+, blaterando di “teorie woke” e di “ingiustizia biologica”.
Una storia che ha poco di sport e sportività e molto di politica e propaganda che ci dice molto della difficoltà ad affrontare questioni di genere nel mondo dello sport da sempre pensato e vissuto in maniera binaria e che, forse, ancor più che in altri mondi, fatica a trovare un equilibrio con una società che è fortunatamente progredita ed emancipata.