Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani si propone di commemorare
mediante le parole degli studenti della classe IV sez. C del Liceo scientifico “Filolao” di Crotone la
figura straordinaria di Don Pino Puglisi e di altre vittime della barbarie criminale.
“Giuseppe Puglisi, conosciuto perlopiù come Don Pino Puglisi era un parroco siciliano che venne
ucciso il 15 settembre 1993 davanti al portone di casa. Era un uomo perbene, un parroco dedito al
sociale. Nel 1990 fu “assegnato” alla parrocchia di Brancaccio, quartiere di Palermo,
particolarmente segnato dall’attività dei clan mafiosi nonché luogo dove aveva trascorso la sua
infanzia. È proprio qui che visse gli anni più difficili della sua vita in cui combatté la mafia fino al
suo ultimo respiro. Don Pino, infatti, aveva compreso sin da subito la situazione di Brancaccio,
pertanto aveva deciso di intraprendere una "missione", quella di allontanare i bambini dalla strada
e fargli comprendere il vero senso della vita con la speranza di sottrarli a quel destino già scritto
per loro dai loro genitori.
Tante furono le sue iniziative, dai campi di calcio alle lotterie per beneficenza sino alla costruzione
di nuove scuole. È questo che fece infuriare i membri della famiglia Graviano, coloro che
esercitavano il dominio sul territorio. Pino Puglisi rappresentava il loro bastone fra le ruote,
continuando ad intralciare notevolmente gli scambi illeciti fino a che non divenne il loro bersaglio.
Era, infatti, arrivato il momento di sbarazzarsene, pertanto, il giorno del suo cinquantaseiesimo
compleanno fu ucciso. Nonostante avesse provato a contrastarla, quel giorno, il giorno della sua
morte, la mafia aveva vinto supportata dall’ndifferenza di coloro che avevano visto il parroco
morente per strada, ma per omertà avevano taciuto. Il suo lavoro, però, non fu vano. Malgrado
l’apparente vittoria di Cosa Nostra, Pino Puglisi ha rappresentato la luce in fondo al tunnel per
molti bambini di quel quartiere. Un esempio di coraggio, di ribellione, un uomo che non si è
piegato di fronte alla prepotenza della mafia, ma che ha fatto tutto il possibile per abbatterla,
anche a costo di rimetterci la vita. Allo stesso tempo egli fi una guida, assumendo un ruolo
essenziale nella crescita psicologica e sociale dei giovani e promuovendo l’alfabetizzazione. Oggi,
proclamato beato, è il primo martire della chiesa cattolica ad essere stato ucciso dalla mafia. Dopo
31 anni dalla sua morte è doveroso ricordarlo, in particolare attraverso una delle sue frasi più
celebri: “Se ognuno di noi fa qualcosa, allora possiamo fare molto”, allora è bene ricordarlo
sottolineando ii coraggio e l’integrità che sono valori fondamentali che Don Puglisi ha incarnato
perfettamente. Il suo esempio ci ricorda che avere il coraggio di fare la cosa giusta, anche quando
è difficile, e mantenere la propria integrità morale sono essenziali per costruire una società più
giusta e solidale. L’eredità di Don Puglisi continua a vivere attraverso le persone che ha ispirato e
le iniziative che ha avviato. Il suo esempio è un faro di speranza e un richiamo costante
all’importanza di vivere una vita basata su valori morali solidi.” (Mancuso Barbara)
“Sergio Esposito lavorava nel bar Franzese, situato nel mercato ortofrutticolo di Casoria in
provinca di Napoli. Nello stesso bar lavorava come garzone un giovanissimo ragazzo di nome
Andrea Esposito (i due, nonostante lo stesso cognome, non erano parenti).
Entrambi si svegliavano prestissimo ogni giorno per andare a lavorare, il 16 settembre 1990 alle
4:30 del mattino entrarono nel bar dei malavitosi mandati a uccidere il figlio del proprietario del
bar, così cacciarono fuori la pistola e spararono a sangue freddo contro Antonio Franzese,
l’obiettivo dei killer. Dalla paura Sergio e Andrea si nascosero dietro il bancone, ma quando i
sicari si accorsero della loro presenza si assicurarono di non avere testimoni, ponendo fine alle
loro vite.
Il mandante e i sicari vennero poi arrestati rendendo giustizia alle famiglie colpite dall’omicidio,
ma di certo non tolsero alle famiglie dì Sergio e di Andrea l’amarezza di aver perso un proprio
caro e col suo lavoro aveva la speranza di poter aiutare la propria famiglia, perché non bisogna
dimenticare che la mafia utilizza il concetto di “famiglia” per coprire le proprie attività illecite. La
mafia spesso sfrutta il termine “famiglia” per creare un senso di lealtà e appartenenza tra i suoi
membri, ma ovviamente le loro azioni sono in netto contrasto con i valori positivi, come l’amore, il
rispetto, l’aiuto reciproco, la stima e l’affetto che noi associamo alla famiglia.” (Alessandro Manica)

“Milano, 15 settembre 1990, periodo in cui iniziò una vera e propria guerra per il controllo della
droga tra le diverse cosche del paese. Una di queste, i Batti, aveva avuto discussioni con il mafioso
italiano Francesco Coco Trovato. Dunque venne organizzata un’imboscata per uccidere Trovato.
Su quella stessa strada dell’omicidio, quel pomeriggio, passava in bicicletta Luigi Recalcati. Nella
sparatoria Luigi e il portinaio Pietro Carpita furono uccisi.
Altre due vittime innocenti da aggiungere alla lista delle stragi.
La mafia colpisce ancora e bisogna trovare un modo per interrompere ciò. Una delle iniziative più
utili è coinvolgere i giovani e renderli partecipi di ciò che succede, far sì che comprendano i valori
della giustizia e il rispetto delle regole, affinché non ripetano gli stessi errori, la lotta contro la
mafia è una responsabilità collettiva. Ogni piccolo gesto può contribuire a creare una società più
giusta e sicura.” (Carla Le Rose)
Nel 1991 Don Pino Puglisi in una intervista raccontava il dramma della dispersione scolastica e
della povertà infantile che alimentava il circuito di reclutamento della camorra: “Ho visto bambini
poveri, bambini lasciati così in mezzo a una strada dove diventano preda di persone senza scrupoli
che poi li avviano alla violenza, alla devianza e quindi in quella zona così come in altre zone ci
sono scippi, furti commessi da ragazzini magari sono inconsapevoli di quello che fanno. Questi
bambini avrebbero bisogno di un recupero etico, morale e cioè che riescano a capire quali sono i
valori fondamentali della vita perché viviamo, perché siamo in questa società che cosa ci stiamo a
fare …”
Don Pino Puglisi era l’emblema della Chiesa “militante”, combattiva e vicina alle persone meno
fortunate ed esposte all’allettamento dell’illegalità e delle attività criminali. Don Pino rimane un’
testimonianza autentica di sacerdozio incontaminato e apostolato coraggioso vissuto per le strade e
insieme alla sua gente. Il suo ricordo rimarrà indelebile.
A Crotone oggi gli studenti parlano di legalità omaggiando il sogno di Don Pino Puglisi e degli
uomini onesti che credevano proprio con forza in una società migliore.
Stimoliamo i giovani all’attivismo su temi dei diritti civili e della legalità affinché nelle nostre aule
scolastiche si possano sempre più condividere i valori umani e della solidarietà.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto
“#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti,
storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

Prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU

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