Luca Raviele, questo è il nome del legale di Luigi D. M., il minorenne accusato dell’omicidio di Santo Romano, diciannovenne di Casoria, ucciso brutalmente con un proiettile dritto in petto, nella notte a cavallo tra l’1 e il 2 novembre.

A funerali fatti, la questione è ancora molto discussa, in quanto la difesa dell’imputato è alquanto discutibile.

L’avvocato, nonostante le evidenti testimonianze, non ha esitato neanche un attimo a difendere il suo assistito, raggirando la dinamica e capovolgendo i ruoli dei protagonisti della vicenda.

Secondo la visione dell’avvocato, il diciassettenne si sarebbe “difeso” perché era stato aggredito dalla vittima stessa.  Inoltre, il difensore non ha esitato a giocarsi la carta dell’infermità mentale, che deve ancora essere appurata dagli specialisti, come se fosse una strategia utile a sgravare il fatto.

Quindi sentendosi minacciato, nonostante disturbi psichici, il colpevole avrebbe preso la pistola, l’avrebbe puntata verso il petto del rivale e avrebbe premuto il grilletto.

Teoria del tutto discordante con quella che si conosce, e che è stata presentata davanti alle forze dell’ordine.

Secondo la prima versione dei fatti il tutto sarebbe accaduto per una scarpa calpestata “di Versace” .

D.M. si trovava in macchina, coinvolto in una lite accesa con altri ragazzi. Santo per cercare di quietare gli animi, si è intromesso ed è stato sparato.

Dopo il colpo fatale la serata per l’assassino non è finita.  È andato in giro con la pistola in dosso, la stessa arma che ha fatto un morto ed un ferito. Perché ricordiamolo, non c’è stato solo il morto, ma anche un ferito.

Attualmente l’imputato è in stato di fermo convalidato.

Ammesso e non concesso che sia realmente andata come sostiene l’avvocato Raviele, l’opinione pubblica non riesce a comprendere come faccia egli a mantenere una certa freddezza e compostezza nell’affermare tale versione, nonostante le telecamere e le testimonianze dimostrino altro.

Da non dimenticare anche che l’omicida è stato protetto sin dal primo momento, mentre il morto giaceva su una barella d’ospedale, tra le grida laceranti della madre.

È stato avvisato, gli è stato raccomandato di non tornare a casa perché ricercato.

Si è nascosto con non chalance, poi con calma il giorno dopo ha confessato.

Anche da reo confesso ha continuato a mostrarsi distante dall’accaduto.

Resta di fatto che ormai Santo Romano non c’è più, e gli amici e i familiari sono distrutti.

Che la giustizia faccia il proprio corso, e che l’avvocato sì, sia professionale e svolga il proprio lavoro, ma tenga rispetto della vittima. L’omicidio è un fatto serio oltre che un reato penale.

Ciò non toglie che l’imputato debba essere difeso, ma sempre ai fini della giustizia processuale.

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