Il terrorismo mediatico è un fenomeno che con l’avvento dei mass media si è diffuso a profusione. Esso consiste nel proferire informazioni di interesse ed influenza globale, utilizzando un certo linguaggio capace di manipolare e plagiare il pensiero e le opinioni degli utenti.
Attorno ad esso permea un vero e proprio amplesso di tecniche utilizzate dai creators, che vanno dalle scelte lessicali, dalla struttura morfo-sintattica, alla scelta delle immagini.
Tutte queste tecniche sono state studiate dai linguisti in modo accurato, e per questo oggi possiamo dare loro un nome e capire tecnicamente di cosa si tratta. Tra quelle più utilizzate ci sono l’amalgama affettivo e l’amalgama cognitivo. Il primo fa riferimento alla trasmissione positiva di certi messaggi senza discuterne il contenuto, mirato alla manipolazione affettiva degli utenti. Una sorta di medicina con il miele che viene imboccata al bambino.
L’altro invece fa riferimento al condizionamento psicologico in modo forzato, che avviene trasmettendo certi messaggi in modo sentenzioso, quasi a non voler accettare altre opinioni.
Concretamente esso consiste nell’uso di ossimori e antitesi, cioè nell’accostare parole o concetti negativi ai corrispettivi positivi.
Anche l’inondare i canali d’informazione di notizie attuali, che in quel preciso momento storico si trovano in una baraonda mediatica, serve a plagiare i lettori. Più notizie si leggono riguardo un fenomeno, un evento, più resta impresso ciò che si legge e si vede in giro.
L’influenza è così forte da rendere l’uomo incapace di farsi un’idea propria e soprattutto di riuscire a filtrare le notizie e saper distinguere quelle autentiche da quelle fallaci.
Bastano poche parole utilizzate in un certo modo, slogan che si servono di parole “bomba”, ed immagini di effetto, magari prodotte con l’uso dell’IA, e gli utenti non esitano a pigiare il dito sulla notizia e a condividerla, spesso anche senza leggere l’articolo per intero.
Moltissimi sono stati i casi in cui i mass media e la comunicazione digitale sono riusciti a narcotizzare le coscienze, come ad esempio nel 2001 con l’attentato alle torri gemelle, ma anche eventi più recenti come la pandemia del Covid-19, la guerra in Ucraina, il conflitto israelo-palestinese.
Di default una notizia riguardo un evento dalla valenza storica e sociale, è perpetua. Essa possiede un tempo ed uno spazio giusto ai fini della contestualizzazione, ma il contenuto e l’importanza morale sono eterni.
Ad esempio, la resistenza dei partigiani viene spesso citata e tirata in ballo, viene vista come “exemplum”, anche se di fatto datata.
Da quando la comunicazione cartacea ed aurale è stata sostituita da quella digitale, molte notizie vengono condivise da più siti sui vari canali, per poi essere di punto in bianco archiviate.
È lo stesso processo che avviene nella mente e nella coscienza dell’uomo. La comunicazione digitale si muove come un burattinaio che manovra i fili delle marionette (gli uomini). L’informazione indossa le vesti di un gioco, che inizia e finisce quando i creatori lo decidono. Anche la diffusione non dipende più dagli utenti, ma soltanto dai creatori.
Per quanto riguarda le notizie sul conflitto tra Israele e Palestina, secondo uno studio condotto dal “Centro Studi Internazionali”, i notiziari occidentali, in particolare quelli inglesi, sono tra quelli che diffondono notizie sull’argomento più fallacemente. Molti giornalisti palestinesi non hanno esitato a smuovere lamentele riguardo la superficialità disinibita nel trasmettere determinati messaggi. Infatti, secondo gli articoli di giornalisti inglesi, si tratterebbe di una guerra neutrale, laddove non c’è assolutamente neutralità tra le due parti. Inoltre, anche le parole utilizzate fungono da palliativo, tra queste ad esempio, “occupazione” al posto di “guerra,”come ha segnalato Al Jeezera.
Spostandoci sul campo multimediale, la scelta delle immagini risulta essere esclusivamente strategica. Molte foto che vengono impostate in primo piano, nella maggior parte dei casi risultano essere anacronistiche e fuori contesto. Magari sono fotografie vecchie, che ritraggono persone e situazioni che non hanno nulla a che vedere con il contenuto dell’articolo, ma che rispecchiano un certo target.
Peggio ancora, si può trattare addirittura di fotografie scattate apposta, svolte propriamente su un set allestito per l’occasione.
Per quanto riguarda poi la censura, molti hanno avvertito una certa preferenza politica anche da parte di chi gestisce l’algoritmo dei social network, dal momento in cui molte notizie che esprimono palesemente una certa preferenza rispetto a quella di chi sta a monte, o che contengono solo una parola fuorviante, vengono censurate e segnalate.
Dunque, è giusto che l’informazione non venga mai ostacolata, ma è necessario stare attenti, perché essere informati bene può essere educativo e formativo, affinché si agisca sempre al fine del bene comune e mettere un punto al male e al terrore, ma essere informati male può essere un vero pericolo ai danni della società.