Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani intende richiamare
l’attenzione delle istituzioni, dei media e dell’opinione pubblica su un tema sempre più critico ma
sistematicamente sottovalutato: l’impatto dell’inflazione sulla sostenibilità economica del lavoro
docente, in particolare per i docenti costretti a vivere e lavorare fuori sede.
1. Inflazione e perdita di potere d’acquisto: il quadro macroeconomico
Secondo le ultime analisi pubblicate dall’analista Gabriel Debach per eToro e supportate dai dati
ISTAT, dal gennaio 2020 al giugno 2025 l’indice generale dei prezzi al consumo in Italia è
aumentato del +19,2%, generando una perdita netta del potere d’acquisto pari a circa il 20%. In
termini reali, 1.000 euro nel 2020 oggi valgono poco più di 830 euro.
Particolarmente preoccupante è l’aumento del carrello della spesa, che ha registrato un +3,1% solo
nel primo semestre del 2025, a fronte di un’inflazione media headline del +1,7%. La mediana delle
variazioni mensili è raddoppiata rispetto allo stesso periodo del 2024 (dallo 0,1% allo 0,2%).
2. Il caso dei docenti fuori sede: una categoria esposta alla vulnerabilità economica
Nel contesto del comparto scuola, i docenti italiani risultano tra i lavoratori meno tutelati rispetto
all’erosione del reddito reale. Con una retribuzione netta media mensile di circa 1.400 euro per un
docente di scuola secondaria con 10 anni di anzianità (dati OCSE / Eurydice, 2023), il potere
d’acquisto attuale si riduce, in termini reali, a poco più di 1.100 euro.
A ciò si aggiunge il peso, spesso non considerato, delle spese extra sostenute dai docenti fuori sede:
– Affitto medio mensile in una città del Nord (es. Milano, Bologna): 650–900 € per un
monolocale;
– Trasporti pubblici mensili: 40–65 € (solo abbonamento urbano);
– Costo medio mensile per vitto (spesa minima): 250–300 €;
– Utenze, assicurazione, altri costi di sopravvivenza: circa 150 €.
Un docente fuori sede si trova quindi a sostenere spese mensili vive comprese tra 1.100 e 1.400
euro, senza possibilità concreta di risparmio, progettualità abitativa o supporto alla famiglia
d’origine. In pratica, l’intero stipendio viene consumato nel garantire la permanenza lavorativa.
3. Confronto europeo e perdita di attrattività della professione
Nel confronto internazionale, l’Italia si colloca tra i Paesi OCSE con i salari iniziali più bassi per i
docenti. Ad esempio:
– In Germania, un insegnante di scuola secondaria inferiore con 10 anni di servizio guadagna
circa 4.280 € lordi mensili;
– In Francia, circa 2.500 € lordi;
– In Italia, circa 2.000 € lordi, equivalenti a meno di 1.500 € netti, senza considerare le
detrazioni per docenti a tempo determinato.
Questi divari salariali, in un contesto di forte pressione inflazionistica, hanno prodotto una fuga
crescente dalla professione e una crisi strutturale del reclutamento, con oltre 250.000 posti vacanti
coperti annualmente da supplenze brevi o annuali (fonte: MIUR, 2024).
4. Considerazioni pedagogico-sociali
Da un punto di vista dei diritti umani e della coerenza con le politiche educative europee, la
condizione attuale dei docenti contraddice i principi fondamentali stabiliti dall’Agenda 2030
(Obiettivo 4.7) e dalla Carta sociale europea, che riconoscono il diritto a una formazione di qualità
garantita da personale adeguatamente formato, retribuito e motivato.
La precarietà economica incide direttamente sulla qualità dell’insegnamento, sul benessere
psicologico del docente e sulla continuità didattica. Inoltre, si aggrava la frattura sociale tra chi può
permettersi di lavorare lontano da casa e chi, pur avendo merito e titoli, è costretto a rinunciare per
motivi economici. Questo rappresenta un fattore discriminante che penalizza in particolare le donne,
i giovani e i lavoratori del Sud assegnati a sedi del Centro-Nord.
5. Proposte del CNDDU
Alla luce di quanto esposto, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani
chiede con urgenza:
Un adeguamento automatico e strutturale delle retribuzioni dei docenti al costo reale della vita,
indicizzato almeno all’inflazione media annua ISTAT;
– L’introduzione di indennità permanenti per i docenti fuori sede, commisurate al costo della
città di destinazione e non soggette a vincoli di residenza fittizia;
– Un piano nazionale per la mobilità territoriale equa, che valorizzi la territorialità e riduca il
pendolarismo forzato;
– Il riconoscimento del disagio economico come fattore di rischio educativo, e la sua
inclusione nei parametri di valutazione delle politiche scolastiche.
Conclusione
Il corpo docente italiano, e in particolare quello fuori sede, è oggi esposto a un processo di
impoverimento silenzioso ma strutturale, che mina le fondamenta della scuola pubblica e il diritto
all’istruzione di qualità per tutti. L’insegnante è il primo presidio democratico e culturale del Paese:
non può più essere trattato come una variabile residuale del bilancio statale.
prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU