Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani esprime profonda
inquietudine di fronte all’operazione condotta dalla Polizia di Stato, che ha portato alla luce un
ampio fenomeno di radicalizzazione in età adolescenziale, con oltre venti giovani tra i 13 e i 17 anni
coinvolti in indagini per terrorismo, suprematismo, jihadismo e attività eversive.

La notizia, di per sé già drammatica, assume contorni ancora più gravi se letta nella sua dimensione
strutturale e non episodica. Non ci troviamo di fronte a derive individuali o eccezioni patologiche,
ma a segnali chiari e convergenti di una frattura sistemica tra le nuove generazioni e il tessuto
culturale e valoriale delle nostre democrazie.

La radicalizzazione giovanile – come documentano ormai da anni studi internazionali – non è
un’esplosione improvvisa di devianza, ma il risultato di un lento processo di disintegrazione del
legame sociale, spesso alimentato da disorientamento identitario, disillusione verso le istituzioni,
esposizione a linguaggi violenti, e un crescente vuoto di senso.
In questo quadro, il web – da strumento potenzialmente emancipante – si trasforma in ecosistema di
reclutamento e polarizzazione, capace di accelerare l’adesione a visioni manichee, semplificatorie,
violente. Non è un caso che la “latency” tra esposizione e attivazione violenta si sia ridotta da sedici
mesi a poche settimane. Le piattaforme digitali non si limitano a trasmettere contenuti: plasmando
comportamenti, logiche relazionali e visioni del mondo, generano vere e proprie biografie
alternative.

Il CNDDU evidenzia come la matrice eterogenea di questi episodi – suprematismo bianco,
estremismo islamista, antagonismo violento – converga su una medesima struttura di pensiero:
rifiuto dell’altro, negazione della complessità, mitizzazione della forza come strumento di riscatto.
E questo terreno comune nasce da fragilità condivise: isolamento, assenza di riconoscimento,
scarsità di riferimenti adulti significativi.
Da educatori, siamo chiamati a un’analisi lucida: la scuola non può più essere concepita come luogo
neutro di mera trasmissione di saperi, ma come spazio attivo di costruzione della coscienza civile.
Occorre ripensare radicalmente l’azione educativa:
– Introdurre il potenziamento dell’Educazione alla legalità nei curricoli scolastici, non come
appendice ma come chiave interpretativa del mondo contemporaneo e laboratorio di
cittadinanza critica.
– Potenziare la formazione pedagogica e sociologica dei docenti, affinché siano in grado di
cogliere i segnali premonitori di disaffiliazione, nonché di gestire la complessità culturale e
psicologica delle classi multicentriche di oggi.
– Integrare l’educazione digitale con una pedagogia dei media, che non si limiti a fornire
competenze tecniche, ma aiuti a decostruire le narrative tossiche, i meccanismi di
manipolazione, i miti della violenza come riscatto.
– Attivare presìdi permanenti di ascolto, mediazione e prevenzione nelle scuole, con il
coinvolgimento strutturale di psicologi, pedagogisti, mediatori culturali.
Se oggi vediamo adolescenti capaci di costruire ordigni, aderire a ideologie distruttive e partecipare
a reti transnazionali del terrore, non possiamo limitarci a una risposta securitaria. La repressione,
per quanto necessaria, arriva troppo tardi se prima non si è agito sull’humus che rende fertile la
violenza.
Occorre una strategia di lungo periodo che rimetta al centro la dignità della persona, il rispetto
dell’altro, la consapevolezza storica. La memoria non può essere affidata solo ai giorni della
commemorazione; la Costituzione non può restare testo astratto se non è vissuta come pratica
quotidiana.

Il CNDDU, infine, richiama la necessità di un’alleanza tra scuola, famiglia, società civile e
governance politica, che superi le logiche emergenziali e promuova una cultura della prevenzione,
della responsabilità collettiva e della resilienza democratica.

prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU

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