Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene non più rinviabile una
presa di posizione chiara e responsabile sulla gravissima condizione economica e sociale in cui
versano migliaia di docenti di ruolo fuorisede. La questione abitativa e il progressivo
impoverimento del personale scolastico non possono più essere considerati effetti collaterali del
sistema, ma rappresentano oggi una vera emergenza strutturale che incide sulla dignità del lavoro
pubblico e sulla qualità dell’istruzione.
Il contesto generale è noto e documentato. In molte aree del Paese il costo dell’abitare assorbe oltre
il 40 per cento del reddito netto mensile, con punte che raggiungono il 60–65 per cento nelle grandi
città. In Europa oltre il 30 per cento delle persone a rischio povertà vive in condizioni di
sovraccarico abitativo, mentre in Italia, a fronte di circa 9,6 milioni di abitazioni vuote, quasi
quattro milioni di persone si trovano in una condizione di povertà abitativa. A questo scenario si
affianca una dinamica salariale stagnante: la retribuzione media annua lorda dei lavoratori italiani si
attesta intorno ai 33.000 euro, ben al di sotto di quella di altri Paesi europei comparabili.
All’interno di questo quadro già critico, la condizione dei docenti di ruolo fuorisede appare
particolarmente grave. Migliaia di insegnanti immessi in ruolo con la legge 107 del 2015 si trovano
ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, lontani dalle proprie città di residenza. Quella che
doveva essere una fase temporanea si è trasformata, nei fatti, in una permanenza forzata che ha
inciso profondamente sulla vita economica, familiare e personale di questi lavoratori.
Le conseguenze economiche sono ormai evidenti e quantificabili. Nell’arco di dieci anni, molti
docenti hanno speso esclusivamente per l’affitto cifre comprese tra i 70.000 e i 90.000 euro, somme
enormi se rapportate agli stipendi del comparto scuola. A tali costi vanno aggiunti quelli per le
utenze, i trasporti, i viaggi frequenti per mantenere i legami familiari, il mantenimento di due
domicili e la sostanziale impossibilità di accedere a forme di risparmio o di investimento. Per molti
insegnanti, la prospettiva di acquistare una casa o di costruire una stabilità economica è stata
completamente compromessa.
Si tratta di un impoverimento progressivo e strutturale, che non deriva da scelte individuali ma da
un assetto normativo che ha scaricato sui singoli lavoratori il peso di una mobilità non
accompagnata da adeguate tutele. Una povertà silenziosa, che non sempre emerge nelle statistiche,
ma che si manifesta nella rinuncia, nell’incertezza e nella difficoltà quotidiana di sostenere spese
essenziali. Una condizione che incide anche sul benessere psicologico e sulla qualità del lavoro
svolto.
Particolarmente significativa è la situazione dei docenti appartenenti alla classe di concorso A046 –
discipline giuridiche ed economiche, chiamati a formare gli studenti sui principi dello Stato di
diritto, dell’economia e della cittadinanza consapevole. È una contraddizione evidente che proprio
coloro che insegnano il valore delle istituzioni e dei diritti fondamentali siano costretti a vivere in
una condizione di fragilità economica che mette in discussione l’effettività di quei diritti.
Le ricadute di questa situazione non riguardano soltanto i singoli docenti, ma l’intero sistema
scolastico. La difficoltà a sostenere il costo della vita nelle sedi di servizio contribuisce alla
crescente rinuncia ai ruoli, alla scarsa partecipazione ai concorsi in alcune aree del Paese e alla
discontinuità didattica. Una scuola che si regge sul sacrificio permanente dei suoi lavoratori è una
scuola strutturalmente fragile.
Alla luce di tutto ciò, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene
che la prossima fase di contrattazione sulla mobilità interprovinciale per l’anno scolastico 2026
debba segnare un cambio di paradigma. È necessario riconoscere formalmente che i docenti
immessi in ruolo con la legge 107/2015, dopo anni di servizio svolto lontano dalla propria residenza
e dopo un sacrificio economico ampiamente documentabile, debbano vedersi garantita una priorità
assoluta nel rientro nei propri centri di residenza.
Tale priorità non può essere considerata un’eccezione o una concessione, ma una misura di
riequilibrio e di giustizia amministrativa, volta a sanare una disparità che si è protratta per un tempo
irragionevole. Continuare a trattare queste situazioni come ordinarie significa ignorare l’impatto
economico e sociale prodotto da oltre un decennio di permanenza forzata fuori sede.
Il CNDDU rivolge pertanto un appello diretto al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe
Valditara, affinché la questione venga assunta come prioritaria nell’agenda politica e contrattuale
del Ministero e affinché si apra un confronto serio e concreto finalizzato a garantire, a partire dalla
mobilità 2026, il rientro effettivo nei territori di residenza del personale immesso in ruolo con la
legge 107/2015.
Restituire dignità ai docenti significa riconoscere che non può esistere una scuola solida se chi vi
lavora è costretto a vivere in una condizione di precarietà economica permanente. Significa
investire nella stabilità delle comunità scolastiche, nella qualità dell’insegnamento e nella credibilità
delle istituzioni.
Il CNDDU continuerà a sostenere questa istanza con senso di responsabilità e spirito costruttivo,
nella convinzione che il tempo delle attese sia ormai concluso e che una risposta equa e strutturale
non sia più rinviabile.
prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU
