di Romano Pesavento

La mostra “Giovanni Boldini – La seduzione della pittura” a Lucca, dal 2 dicembre 2025 al 2
giugno 2026, incanta e rapisce i visitatori; nell’elegante Cavallerizza ducale, con lo sfondo signorile
delle antiche mura, il percorso esperienziale si snoda tra tele e opere di pregevole fattura, che hanno
impresso un segno indelebile nella storia artistica del Novecento. L’allestimento, misurato ma
raffinato, accompagna lo sguardo senza sovraccaricarlo, permettendo un dialogo diretto e quasi
intimo con le opere, come se ogni ritratto reclamasse un tempo di osservazione esclusivo. La
scansione degli spazi favorisce una lettura progressiva dell’evoluzione stilistica dell’artista,
mettendo in evidenza come Boldini sia riuscito, nel corso della sua carriera, a trasformare il ritratto
mondano in un laboratorio di sperimentazione formale e psicologica.

Le signore di Boldini, languide e nostalgiche, lanciano sguardi sfavillanti, ora promettenti, ora alteri
dalle cornici dorate. In opere come i celebri ritratti a figura intera, il corpo femminile sembra
allungarsi oltre i limiti naturali, come se la grazia fosse una forza centrifuga capace di deformare lo
spazio. La tecnica impareggiabile di Boldini trasforma le donne dell’alta società italiana e
internazionale in creature dal fascino misterioso, ineffabile e fatale, in dee irraggiungibili, icone di
una bellezza sofisticata e teatrale. Ma dietro all’apparente celebrazione dell’eleganza mondana si
avverte anche un sottile senso di inquietudine: quelle figure slanciate e dinamiche sembrano spesso
sospese in un eterno presente, prigioniere di una bellezza che le consacra e al tempo stesso le isola,
come attrici immobili sul palcoscenico di un mondo raffinato e fragile.

In alcuni dipinti emerge con particolare forza la capacità di Boldini di cogliere il carattere dei
soggetti: un’inclinazione del capo, un gesto appena accennato della mano, lo scorcio improvviso di
uno sguardo bastano a suggerire temperamenti complessi, talvolta ambigui. È qui che il ritratto
smette di essere semplice rappresentazione sociale per diventare racconto, introspezione, talvolta
persino allusione narrativa.

La ricerca estetica del pittore ferrarese e la sua modernità sono incontestabili: in alcuni quadri il
dinamismo della pennellata si muove in onde concentriche o si irradia in traiettorie sferzanti,
rompendo la quiete della composizione tradizionale e proiettando il ritratto oltre la mera
rappresentazione, in una dimensione quasi cinematografica. Le pennellate rapide e nervose del
Busto di giovane sdraiata sembrano vibrare sulla superficie della tela, creando un senso di
movimento continuo che affascina e turba l’osservatore. Tale energia visiva si pone in sincronia con
le avanguardie letterarie e artistiche del primo Novecento; non è un caso che poeti come Soffici ne
ammirassero la forza espressiva, capace di rendere visibile il ritmo del futuro e di anticipare una
sensibilità ormai proiettata verso la modernità.

La figura femminile, a volte, sembra perdersi nelle sete e nei veli preziosi, da cui emerge come
un’apparizione, un’epifania: la materia pittorica diventa così protagonista quanto il soggetto, e il
confine tra corpo e abito si fa labile, alludendo a un’idea di identità fluida e cangiante. In dipinti
come La tenda rossa, il colore domina la composizione e costruisce un’atmosfera densa, quasi
febbrile, in cui la figura si staglia come una visione improvvisa. L’influenza parigina, quella
dell’Impressionismo, è tangibile, ma filtrata attraverso una sensibilità unica, che privilegia
l’intensità emotiva e il fascino del gesto pittorico. Molti spunti innovativi convergono nelle
raffigurazioni dell’artista; la protagonista de La tenda rossa fa pensare a una delle eroine di Ernst
Ludwig Kirchner, per la tensione espressiva e la forza cromatica, pur restando saldamente ancorata
all’estetica boldiniana.
Eppure, al di là di tali suggestioni, l’identità artistica di Boldini rimane saldissima: quella di colui
che più di tutti, nel Novecento italiano, seppe rendere nel ritratto femminile ogni sublimazione del
bello, del desiderio e della vita stessa. La mostra lucchese restituisce così non solo il virtuosismo
tecnico dell’artista, ma anche la sua capacità di immortalare un’epoca al culmine del suo splendore,
trasformando l’effimero in mito pittorico e fissando sulla tela l’eleganza inquieta di un mondo
ormai sul punto di dissolversi.

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