È metà novembre, il freddo sembra essere arrivato, e d’improvviso punge sulla pelle e fa lacrimare gli occhi.

Dai comignoli dei camini fuoriesce il fumo che odora di legna: il fuoco è acceso e riscalda le case, scoppietta, arde sulla brace.
Nonostante sia novembre, per le strade si assapora già il Natale: tutto è illuminato e addobbato, le decorazioni catturano l’attenzione dei passanti.
Secondo la scienza, chi adorna in anticipo per il Natale ha uno spirito natalizio accentuato derivato dall’essere felice.

È davvero così? Quanto c’è di vero? Coloro i quali addobbano con così largo anticipo sono davvero felici?

Natale è il paradosso della iprocrisia: tavole imbandite ricolme di pietanze da mangiare, regali da spacchettare e ingordigia da condividere insieme a chi, probabilmente, non rientra neppure nelle grazie e simpatie. Lo si fa. Lo si fa per obbligo, per quieto vivere, perché «lo si deve fare».
Natale illumina tutto quanto ma solo al di fuori; le luci interiori, il bello e il sano sono messi da parte a favore del consumismo che, tra l’altro, sottolinea quanto la realtà apparente è completamente opposta alla realtà vera. Quella senza veli.
Eppure, in questo momento storico così delicato, in cui altre luci -quelle delle bombe- illuminano le strade di paesi a noi vicini, si pensa al lato meramente parvente, che stona e sa di qualcosa di acre, che disgusta.

Le luci e i canti del Natale riusciranno mai ad oltrepassare il bagliore e il rumore di quelle bombe che squarciano l’aria? Che importa. È quasi Natale. L’importante è sedersi, ingozzarsi e festeggiare.

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