Il 21 luglio rappresenta una data dolorosamente simbolica per la nostra Repubblica, per le comunità
del Mezzogiorno, per la scuola italiana tutta. In questo stesso giorno, a distanza di pochi anni l’uno
dall’altro, la violenza cieca e sistemica della camorra ha posto fine alle vite di tre giovani innocenti:
Angelo Riccardo, Fabio De Pandi e Antonio Brandi. Oggi, il Coordinamento Nazionale Docenti
della disciplina dei Diritti Umani intende commemorare la loro memoria con un pensiero che non
sia solo ricordo, ma consapevole assunzione di responsabilità civile, educativa e istituzionale.
Angelo Riccardo aveva appena ventuno anni quando, il 21 luglio del 1991, fu assassinato a San
Cipriano d’Aversa, nel Casertano, mentre si recava con degli amici a una funzione religiosa.
Vittima di uno scambio di persona durante un agguato camorristico, fu colpito al volto da tre colpi
d’arma da fuoco. Non aveva alcun legame con la criminalità, era un muratore incensurato, un
giovane come tanti, la cui unica “colpa” fu quella di trovarsi nel posto sbagliato. La sua morte
scosse profondamente la coscienza collettiva del territorio e fu uno degli episodi che spinsero
sacerdoti e cittadini a rompere il silenzio, tra loro don Peppe Diana, che pochi anni dopo pagò con
la vita la sua testimonianza.
Sempre il 21 luglio 1991, a Soccavo, quartiere a ovest di Napoli, fu colpito a morte Fabio De Pandi,
undici anni appena. Un bambino. Stava tornando a casa con la sua famiglia dopo una visita ad
amici. Nel salire in macchina, un proiettile vagante lo raggiunse alla schiena: nei pressi, due clan si
fronteggiavano per il controllo del territorio. Fabio riuscì solo a dire a suo padre che sentiva dolore
a un braccio. Morì durante il trasporto in ospedale: la pallottola, dopo aver attraversato il braccio,
gli lacerò il torace. Gli esecutori e i mandanti furono in seguito identificati e condannati, ma nulla
potrà mai restituire alla famiglia quel figlio, quella promessa spezzata.
Il 21 luglio 1995, quattro anni più tardi, Antonio Brandi, diciannove anni, anch’egli incensurato, fu
ritrovato senza vita lungo la circonvallazione esterna di Qualiano, periferia nord di Napoli. Stava
trascorrendo un breve periodo di licenza a casa, essendo militare in servizio presso la Compagnia di
Sussistenza del Comiliter tosco-emiliano di Firenze. L’autopsia stabilì che era stato ucciso con
diversi colpi di arma da fuoco, probabilmente a bordo di un’autovettura, per poi essere abbandonato
in un luogo diverso da quello dell’agguato. Le indagini non hanno ancora condotto
all’identificazione dei responsabili, ma l’ipotesi più accreditata resta quella di un omicidio di
stampo camorristico, forse per aver assistito a qualcosa che non doveva vedere.
Queste tre vite, diverse tra loro ma accomunate da un’ingiustizia profonda, sono oggi per noi un
simbolo. Non solo di dolore, ma di una lotta che la scuola, come prima agenzia educativa, non può
permettersi di delegare. Ogni aula, ogni cattedra, ogni banco può diventare il luogo in cui si
costruisce il rifiuto dell’illegalità, dove si forma una coscienza critica, dove la memoria non è sterile
ritualità ma terreno fertile di consapevolezza. La camorra, come tutte le mafie, prospera nel silenzio
e nell’ignoranza. La scuola ha il dovere di spezzare questo silenzio, di illuminare, di offrire
strumenti, di promuovere cultura, dignità, rispetto per la vita.
Numerose scuole in Campania e in altre regioni d’Italia hanno già intitolato a questi ragazzi aule,
biblioteche, laboratori; alcune ne raccontano la storia durante percorsi annuali di educazione civica,
altre partecipano attivamente a iniziative promosse da fondazioni e associazioni come Polis, Libera,
la Rete della Memoria. Ma è necessario un salto di qualità: la memoria non deve dipendere dalla
sensibilità del singolo docente o dirigente scolastico. Occorre una progettualità organica, sostenuta
da politiche pubbliche, che renda permanente, strutturale e trasversale l’insegnamento della cultura
della legalità e dei diritti umani.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rinnova pertanto il proprio
impegno nel promuovere, all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, la conoscenza delle storie
delle vittime innocenti della criminalità organizzata. E chiede con forza che il 21 luglio entri nel
calendario scolastico come giornata nazionale di riflessione sulla violenza mafiosa e sul ruolo
fondamentale dell’istruzione nella costruzione di un Paese più giusto.
Ricordare Angelo Riccardo, Fabio De Pandi e Antonio Brandi significa rifiutare l’indifferenza.
Significa restituire loro la dignità che la violenza ha cercato di cancellare. Significa, soprattutto,
educare i cittadini di domani affinché nessun altro ragazzo, nessun altro innocente, debba morire per
mano della criminalità. La scuola può farlo. La scuola deve farlo.
prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU