Mentre l’Occidente si interroga sulla possibilità di un riarmo e si conducono le trattative per giungere ad una tregua tra Russia ed Ucraina, Gaza resta una prigione a cielo aperto. O per meglio dire, un campo di concentramento.
Tra l’indifferenza dei più e il silenzio- e tacito consenso- delle potenze mondiali- non meraviglia, d’altronde, il lasciapassare dei filo-sionisti Stati Uniti per conseguire il progetto trumpiano di una “riviera di Gaza”- il genocidio in Palestina prosegue con la più spietata brutalità ed efferatezza dopo l’interruzione, lo scorso 18 marzo, della tregua posticcia tra Israele e Hamas. Più di 50 mila sono le vittime civili palestinesi dall’inizio del conflitto, oltre 14 mila delle quali bambini- sono loro, infatti, a pagare il prezzo più alto della guerra. Oltre 110 mila i feriti.
Lana è una donna palestinese sopravvissuta agli orrori del genocidio. Tra le macerie dei bombardamenti, l’8 ottobre 2023, nella distruzione di una guerra inumana ha dato alla luce Suma, una bambina dal corpo esile e dagli occhioni attenti e vispi. Aboud, il fratello maggiore, appena respirava quando lo hanno estratto dalle macerie; ora inspira a pieni polmoni la bellezza di quanto lo circonda con una forza e una vivacità straordinarie.
Lana e i suoi figli sono tornati a vivere -catapultati in una realtà a loro estranea- quando, all’incirca un anno fa, sono giunti in Italia, per fornire le adeguate cure mediche alla piccola Suma.
Ma la guerra Lana se la porta cucita addosso: nei gesti, nei movimenti cauti, nell’espressione del volto, la racconta con lo sguardo- un amalgama di spontaneità e diffidenza, sofferenza e determinazione. La guerra le ha strappato un figlio; sotto le bombe a Gaza ha perso la sua famiglia, lì è rimasto suo marito. Descrive la sua vita prima di quel 7 ottobre e il modo in cui è stata completamente stravolta a partire da quella fatidica data senza indugi, in maniera minuziosa, con una schiettezza quasi spietata. La sua storia non è la cronaca di una vita qualunque, perché Lana ha ancora la voce per gridarla.
Il conflitto israelo-palestinese non è cominciato il 7 ottobre 2023 con l’attacco di Hamas. Affonda le sue radici nel lontano 1948. Ma penso anche alla nakba, alla “Guerra dei sei giorni”, all’intifada del 1987 e a quella del 2000, dopo decenni di oppressione di Israele nei confronti dei palestinesi e dell’occupazione dei loro territori. Com’era la tua vita, la situazione del tuo popolo prima di quel 7 ottobre?
La vita a Gaza era una vita normale, naturale, senza particolari problemi prima di quel 7 ottobre.
E come è cambiata da allora?
È cambiato tutto. Avevo una casa, una famiglia, due figli. Il primo giorno ho perso un figlio. Hanno bombardato il palazzo dove abitavo, sono morti diciannove dei mie familiari; Aboud, il bambino che vedi, è stato estratto quasi morto dalle macerie. È stato due settimane in sala rianimazione in terapia intensiva. Mio marito è stato ferito e ancora si trova lì a Gaza.
Ma cosa rivendicano, quindi, i palestinesi? Cosa chiedono alle potenze europee e mondiali? Perché combattono e resistono ancora?
Io non chiedo nulla alla Comunità Europea e al mondo, né all’America, perché la causa del problema della Palestina sono loro stessi. Cosa possiamo chiedere a loro? Noi chiediamo soltanto l’aiuto che viene da Dio, perché da loro non arriverà nessun aiuto.
E come donna e come madre cosa ti sentiresti di dire alle donne occidentali per far davvero comprendere loro il dramma del perdere figli, figlie, fratelli, sorelle, e come spiegheresti loro l’orrore e la ferocia di una guerra che forse sentono troppo distante, di cui probabilmente non percepiscono la portata?
È difficile spiegarti la mia sensazione perché soltanto chi lo ha subito può capirlo. Che cosa potrei dire alle donne occidentali per far comprendere il mio dolore e il mio dramma, un dolore e un dramma che loro non hanno conosciuto?
E, invece, nella situazione critica in cui versa ora il territorio palestinese, anche tu, come tanti, sei stata costretta a fuggire per preservare la tua vita e quella dei tuoi bambini. Quali sono le difficoltà di chi è costretto ad abbandonare la terra in cui è nato e che ama, la propria casa, ed integrarsi in un paese distante per lingua, costumi e tradizioni dalla propria cultura d’origine?
Sono contenta di essere arrivata qui, in Italia, per curare i miei figli, ma la sofferenza è quella di essere una straniera senza familiari, senza appoggio, sola, isolata. Tutto questo per me non è facile. Mio marito è ancora in Palestina, è a Rafah. È stato ferito il primo giorno. È un civile- è ragioniere- non prende parte ai combattimenti, ma non può lasciare la nostra casa.
E invece tu? Che lavoro facevi prima della guerra?
Sono laureata in pedagogia. Lavoravo come pedagogista.
Ma tu come credi che realisticamente possa concludersi il conflitto? Hai fiducia nella possibilità per la Palestina di essere finalmente uno Stato autonomo ed indipendente?
Sicuramente può cambiare per il meglio la situazione, noi siamo fiduciosi perché gli ebrei che sono lì occupano un territorio che non è il loro. Prima o poi dovranno abbandonarlo.
Amedeo, cisgiordano che vive in Italia da ormai quarant’anni -mediatore dell’intervista- insiste su questo punto specifico, sulla possibilità per la Palestina di essere un giorno finalmente libera, facendosi portavoce delle istanze che lo accomunano ai suoi conterranei e che la stessa Lana condivide.
Non abbiamo mai perso la speranza, nonostante l’America e tutto l’Occidente continuino a sostenere Israele -e sappiamo tutti il motivo dell’appoggio americano ed europeo ad Israele, perché hanno nelle loro mani tutta la ricchezza economica, politica e anche mediatica- perché chi è nato, chi è radicato in un territorio è sempre più forte di chi lo ha occupato. Loro possono avere le armi, ma prima o poi dovranno andarsene. In tutto il mondo c’è già un movimento di ebrei contro il sionismo, contro l’occupazione, a favore della Palestina. Il sionismo è stata una spada a doppio taglio anche per loro. Confondere l’ebraismo con il sionismo è stato qualcosa di tragico, anche per loro. Non bisogna fare l’errore di incolpare l’ebraismo di una cosa di cui è colpevole solo il sionismo. Molti ebrei da esso si sono dissociati e continuano a dissociarsi.
Ma secondo te, un giorno, israeliani e palestinesi potranno mai coesistere pacificamente?
Sono 75 anni che conviviamo in questa drammatica situazione. Purtroppo non potrà succedere, non potremo coesistere per un semplice motivo: perché a livello culturale, linguistico, religioso loro non appartengono a questo territorio. Vi si sono impiantati, ma non appartengono a quel contesto culturale. Quella israeliana in territorio palestinese è una colonia. Avrebbe dovuto essere il contrario: cioè gli ebrei, che sono venuti dall’Europa, avrebbero dovuto reintegrarsi in Palestina- perché noi palestinesi all’inizio li abbiamo accolti, conoscendo le loro difficoltà e quello che avevano subito. Ma purtroppo ci si sono rivolti contro. Sono loro a doversi integrare nelle nostre comunità, non dobbiamo essere noi a farlo- peraltro loro non ce lo permettono neanche, perché viviamo sotto un’occupazione, un apartheid, una divisione.
Amedeo aggiunge
Ti racconto una cosa. È venuto da me un prete che è stato in Palestina e quando gli ho chiesto quale fosse la situazione lì mi ha risposto che non poteva indossare neanche l’abito sacerdotale perché, quando lo metteva, gli ebrei gli sputavano addosso quando lo vedevano. Questa è la loro mentalità e di conseguenza, purtroppo, non permette una coesistenza pacifica. Peggio di quello che hanno fatto e che stanno facendo l’umanità non poteva neanche immaginarlo. Quando si rallegrano a vedere un bambino morto, quando ballano perché hanno ucciso delle creature innocenti, che esseri umani sono? Come li definiresti?
Chiaramente questo discorso vale per gli israeliani sionisti. Perché esistono ebrei palestinesi e da sempre siamo coesistiti. In Palestina siamo composti da varie etnie: i cristiani, i drusi, gli ebrei, i musulmani, i musulmani dell’Africa. E viviamo pacificamente; non con-viviamo, viviamo. Non esiste il fatto di sopportare, tollerare. Io non ti tollero, io vivo con te. Noi giochiamo, festeggiamo, lavoriamo, viviamo insieme. Io non guardo quale religione professi, qual è la tua origine, a quale etnia appartieni: per me tu sei semplicemente palestinese. Da quando sono arrivati questi colonizzatori – e non so se sia il termine opportuno per definirli- è cambiato tutto. L’intera Europa-gli Stati Uniti, il governo italiano, il Parlamento Europeo, la stessa Germania- sembra piegata agli interessi di questi sionisti. E insisto su questo: parliamo sempre di sionisti, perché ci sono ebrei che non hanno nulla a che vedere con loro. Gli stessi palestinesi di religione ebraica, di cui ti parlavo, sono i nostri palestinesi, i nostri fratelli. Ma questi israeliani, venuti dall’America, dall’Europa dell’est, e che governano -e che spesso cambiano i loro cognomi per renderli simil-arabi- vengono da lontano e vogliono dettare condizioni in casa nostra. Molti di essi sono nazi-fascisti, criminali, come Netanyahu. Ma che tipo di coesistenza può esserci con loro? Probabilmente ci sarà, ma in una Palestina libera. Ed è questo che intendiamo quando diciamo “Palestina libera dal fiume al mare”: non significa cacciar via gli ebrei, ma che chiunque sia degno di vivere in Palestina, ci vivrà. Ma vivrà in Palestina, non in Israele. Non esiste più la possibilità di due stati. E forse non è mai esistita: il territorio si chiama da sempre così, Palestina. Che poi l’Onu le abbia dato solo una striscia, è altra cosa. Siamo noi a dover avere il diritto di concordare la nascita di uno Stato di Israele sulla nostra terra. Ci hanno imposto una legge, senza neanche chiederci il consenso. Non è legale. Qual era il potere dell’Onu di creare un nuovo Stato? Ora deve solo crollare il sionismo, il suprematismo. Quando ci sarà la democrazia in Palestina, allora ne riparleremo.
In troppi pensano che il popolo palestinese sia ostaggio di Hamas e che la Resistenza palestinese coincida con metodi ed atteggiamenti terroristici. Puoi spiegarmi Lana ciò che succede davvero? Qual è la tua posizione in merito?
Da chi è composta la Resistenza palestinese? La Resistenza sono i nostri figli, i nostri fratelli. Cos’è la Resistenza? È quella che sta difendendo il territorio e il diritto della Palestina e dei palestinesi. Hamas è un gruppo. In Palestina abbiamo vari gruppi, come al-Fatah al tempo, il Fronte Popolare. Poi magari al-Fatah ha sposato un lato politico che ha portato agli Accordi di Oslo- gli accordi chiedevano un ritiro delle forze israeliane da alcune aree della striscia di Gaza e della Cisgiordania, ed affermavano il diritto palestinese all’autogoverno in tali aree, attraverso la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese [N.d.R] – che dopo quasi venti anni non hanno portato effettivamente a nulla; dall’altra parte c’è questa lotta, Hamas, una lotta legale perché siamo sotto occupazione e chi si trova in questa situazione ha il diritto di difendersi e di resistere all’occupante. Hamas cos’è? In arabo Hamas vuol dire “Movimento della Resistenza Islamica”, della Palestina. Ha una connotazione religiosa, che altri gruppi della resistenza- laici- non hanno. Come abbiamo gruppi della Resistenza che sono marxisti, comunisti. E guarda che l’attacco del 7 ottobre, l’inizio della rivoluzione palestinese non l’ha fatta solo Hamas. Ci sono stati vari gruppi della Resistenza, e tutte le resistenze sono in e con Hamas. Israele parla solo di Hamas, perché dopo la demonizzazione dell’Islam ha avuto buon gioco a dire “sono musulmani, sono dei terroristi”. In realtà non è così. Perché Hamas non è mai stato considerato, fino a questo momento, neanche dall’Unione Europea, un gruppo terroristico.
Amedeo apre una riflessione, domanda
Sono terroristi rispetto a chi? Possiamo chiederci piuttosto “Ma perché è nato il 7 ottobre?”
E allora ve lo chiedo. Lo chiedo a te e lo chiedo a Lana. Perché è nato il 7 ottobre?
L’intelligence palestinese ha superato l’intelligence israeliana ed ha anticipato l’attacco alla Palestina. Israele già si stava preparando ad attaccare Gaza. Lo hanno saputo e li hanno anticipati in questo modo. Ma voglio parlare anche degli ostaggi. Se ne parla tanto oggi della liberazione degli ostaggi israeliani. Sono 150 gli ostaggi israeliani. Noi abbiamo 15mila palestinesi nelle carceri israeliane. Sono ostaggi palestinesi nelle mani di Israele. Eppure nessuno li piange, nessuno ne scrive. Li dobbiamo equiparare. Se chiamiamo ostaggi quelli israeliani, allo stesso modo definiremo i palestinesi. Se vogliamo definirli prigionieri, dobbiamo ugualmente farlo in entrambi i casi. Perché i palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane sono palestinesi politicamente attivi. Uno degli obiettivi dell’attacco del 7 ottobre è quello di ottenere questi ostaggi israeliani per scambiarli con i nostri ostaggi palestinesi. Abbiamo ancora un grande leader lì, Marwan Barghuthi – 65 anni, è di gran lunga il leader più carismatico della Palestina, che non ha mai rinunciato alla lotta armata, e che sta scontando cinque ergastoli per aver progettato numerosi omicidi quando era un leader politico palestinese durante la seconda Intifada [N.d.R]. Hanno ucciso un altro esponente di Hamas, Ismail Haniyeh. Lo hanno ucciso in Iran, in quanto esponente politico. Non è un combattente, ma ha un grande carisma. Ma se tu uccidi un politico, con chi vuoi dialogare? Con chi vuoi trattare? Ma loro non voglio parlare. Di questi ultimi accordi non hanno rispettato nemmeno un punto. In questa tregua sarebbero dovuti entrare gli aiuti umanitari, cibo, acqua, medicinali, ma non è mai passato nulla. La gente adesso sta morendo di fame. È anche il mese del digiuno, del Ramadan. Oltre a non avere il cibo per sostenersi durante il giorno, adesso non hanno neanche il cibo per spezzare il digiuno. E in più ci sono i bombardamenti. Dove? Non sui campi di battaglia, ma nelle tende, sotto l’acqua, sotto il vento. Bombardano bambini e donne inermi.
Questo bambino che vedi era una vittima, lo hanno estratto dalle macerie. Il fratello ucciso aveva la sua età. Questi erano gli obiettivi pericolosi da eliminare secondo Netanyahu?
E gli israeliani li hanno distrutti quei giardini, quelle foreste. Hanno sradicato 800mila ulivi solo dal 1967 ad oggi. Hanno devastato un territorio che era fertile.
Ma ti voglio dire un’altra cosa. Sai che in questo periodo, ora che non c’è più nulla, che non solo non arrivano gli aiuti umanitari, ma che non ci sono neanche i beni di prima necessità, i palestinesi hanno creato il diesel. Da dove? Dalle lattine di plastica. Non lo hanno estratto. Lo hanno creato. Per sopravvivere. Per questo ti dico: se loro vanno via, vi mostriamo come torniamo ad essere una terra prospera.
Ora non c’è più nulla. Ma c’erano dovunque parchi per i bambini, zoo, le caffetterie, gli chalet, il lungomare era aperto ventiquattro ore su ventiquattro; avevamo i musei. È andato tutto perduto. Ma c’è una cosa che non perderemo mai: la resilienza. Tutto quello che è stato distrutto, lo rifaremo ancora più bello. Non perderemo mai la speranza. Un giorno la nostra terra sarà libera, democratica- perché siamo democratici e non abbiamo la necessità di ribadirlo continuamente.