Chi siamo quando viaggiamo? Denudati dalla frenesia della quotidianità, al passo con il nostro destino, con lo sguardo rivolto fuori da un finestrino?

Viaggiare rientra nei primi piaceri della vita: scoprire posti nuovi, assorbire usi e costumi diversi, assaporare le differenti culture culinarie, gli odori dei luoghi e gli sguardi dei passanti curiosi cheinvadono i cinque sensi e riempiono il bagaglio delle esperienze personali.

Il viavai di gente che sale e scende da un treno o da un aereo -il trambusto, il disordine, il trantran-, dona il posto al sottile chiacchiericcio e alla quiete; la solitudine sana che si vive durante un viaggio è la metafora del viaggio nell’anima, nel sé più proprio, nell’oblio.

Lo sguardo rivolto all’orizzonte, il movimento percepito lentamente e il suono metallico delle rotaie o quello ovattato del turbo dell’aereo, una canzone che rimbomba nelle orecchie come colonna sonora, sono la cornice ideale che ci spinge ad indagare su quelli che siamo, senza il timore del giudizio altrui.

Quando si viaggia siamo soli con noi stessi, e la solitudine ci dà risposte sui feticci mentali ai quali ci aggrappiamo o sul mondo desiderabile che viviamo nella nostra testa; è anche indugiare sui pensieri, sulle idee che destabilizzano e nutrono attraverso l’esercizio della fantasia.

Nel viaggio, però, anche l’altro ricopre un ruolo fondamentalepoiché nell’altro ci specchiamo, ci riconosciamo, ci raccontiamo talvolta: basta uno scambio di parole taciute o un’occhiata d’intesa.

Jean Paul Sartre, filosofo francese considerato uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo, affermava che l’altro è necessario: il ruolo dello sguardo nella relazione con l’alterità è essenziale.

Cito le parole di J.P. Sartre, tratte dalla sua opera Essere e il Nulla del 1943: «io esisto il mio corpo: questa è la prima dimensione dell’essere. Il mio corpo è utilizzato e conosciuto dagli altri: questa è la sua seconda dimensione. Ma in quanto io sono per altri, altri mi si manifesta come il soggetto per il quale io sono oggetto».

È evidente quanto l’esistenza degli altri, dell’”altro” può rivelarci l’essere che siamo.

Dunque, nel viaggio fisico o metafisico che sia, consideriamo noi stessi, la profondità rinchiusa nel nostro Es non dimenticandoci di nutrire l’altro per nutrire anche il nostro essere.

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