Noi di Precari in Rete, associazione di ex lavoratori di Poste Italiane, abbiamo vissuto sulla nostra
pelle cosa significa essere assunti per pochi mesi e poi dimenticati in lunghe graduatorie. Molte
volte, ci siamo trovati a subire ingiustizie in silenzio, temendo che denunciare potesse precluderci
la possibilità di una stabilizzazione.
Per questo, abbiamo sostenuto con forza tutti i quesiti referendari sul lavoro. Eravamo convinti
che un “Sì” avrebbe potuto ridurre drasticamente i contratti a termine, non solo in Poste, ma in
tutto il Paese. Nel nostro specifico settore, ad esempio, si sarebbe tornati a circa 7.000 assunzioni
annuali, il numero precedente al Jobs Act. Un dato ben diverso dai 13-14.000 giovani precari “usa
e getta” che si sono visti negli ultimi anni.
Le nostre iniziative e le mancate risposte
Con le nostre sole forze e autofinanziandoci completamente, l’associazione ha denunciato le
diffuse irregolarità sul lavoro: dalle ore non pagate alla formazione insufficiente, fino agli infortuni,
tutte direttamente collegate a questo sistema di ricambio di personale precario continuo. Già
prima del referendum, abbiamo chiesto più volte al Parlamento di introdurre regole stringenti per
prevenire l’uso speculativo del precariato, arrivando persino a redigere bozze di legge con l’aiuto
di avvocati volontari. Un vero esempio di “politica per passione”.
Purtroppo, le nostre iniziative hanno ricevuto scarso sostegno sia dai vari politici o partiti
sostenitori del referendum – fatta eccezione per alcuni singoli parlamentari che si sono distinti per
sensibilità – e sia dai sindacati, su tutti proprio CGIL e UIL. La CISL nemmeno pervenuta. Eppure,
parliamo di vere e proprie prassi illegali, ampiamente diffuse in un’azienda statale qual è Poste
Italiane, come ben documentato dalla recente inchiesta di Report su Rai 3, che ringraziamo e
invitiamo a tornare sul tema.
Oltre le ideologie: Diritti e futuro
Abbiamo supportato il referendum andando oltre le appartenenze ideologiche di chi lo ha
promosso, ben sapendo che è raro concentrarsi sul messaggio anziché sul messaggero. Le urne
hanno restituito una fotografia impietosa, con appena il 30% di affluenza. Crediamo fermamente
che le ragioni dell’astensionismo vadano analizzate in profondità: quanto è stato “merito” della
campagna di diserzione delle destre e quanto, invece, “demerito” di chi ha promosso i quesiti?
Occorre che il sindacato riprenda il suo ruolo di baluardo per i diritti dei lavoratori, con azioni
concrete e meno compromessi. Che la politica dimostri una reale volontà di cambiamento,
affrontando con coraggio le sfide del precariato senza limitarsi a slogan, per poi tacere su quanto
accade in aziende di proprietà dello Stato. E, infine, che i cittadini vadano oltre la semplice
lamentela, abbracciando il dovere di informarsi con spirito critico e prendere parte alla vita
pubblica. Una scarsa partecipazione, infatti, aggraverebbe solamente lo scenario attuale.
L’associazione ha sostenuto anche il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, per una questione di
umanità e di uguaglianza. Chi vive, studia e lavora nel nostro Paese dovrebbe avere pieni diritti e
pari opportunità, a prescindere dal luogo di nascita. Come noi, che abbiamo subito ingiustizie in
un’azienda pubblica, crediamo che la dignità di ogni persona non debba mai essere messa in
discussione.
Al di là delle ideologie di destra e sinistra, esistono problemi reali e concreti. Da lì dobbiamo
ripartire per costruire un futuro in cui il lavoro sia stabile, dignitoso e non più strumento di
speculazione.
Carmine Pascale
Associazione Precari in Rete