È di ieri la notizia della bocciatura da parte dell’ultradestra che governa il nostro Paese dell’emendamento alla Legge di Bilancio, proposto dall’onorevole Chiara Gribaudo (PD), volto a rifinanziare il fondo per lo sport professionistico femminile. Notizia che ha suscitato un acceso dibattito nel panorama sportivo italiano. Il fondo triennale, istituito nel 2020 attraverso il cosiddetto decreto Nannicini, aveva l’obiettivo di sostenere la transizione al professionismo nello sport femminile, con un investimento di 11 milioni di euro da parte del precedente governo.

La deputata Gribaudo ha espresso profonda amarezza per la decisione: “Sono molto amareggiata perché si tratta di un colpo molto duro ai sogni e al futuro di migliaia di ragazze che, in questi anni, si sono avvicinate alle varie discipline anche grazie al fondo AtletePro che ha permesso di migliorare le infrastrutture, gli staff tecnici, quelli medici, la comunicazione e tutto ciò che serve per ridurre il gap con gli uomini.”

Va sottolineato che, sebbene il precedente fondo non fosse di per sé sufficiente a riequilibrare gli investimenti economici e strutturali tra lo sport maschile e quello femminile, rappresentava comunque un punto di partenza significativo per ridurre il divario esistente. Per gettare le basi per un lavoro che andasse realmente nella direzione dell’equiparazione tra sport maschile e femminile.
Ora, questa decisione rischia di vanificare quei progressi, evidenziando una contraddizione in un governo che si dichiara attento ai bisogni delle persone e delle donne, ma che nei fatti taglia risorse e distrugge i sogni di migliaia di ragazze, costrette a fare i conti con un sistema che non le sostiene.

La mancata proroga del fondo potrebbe avere ripercussioni significative sul futuro dello sport professionistico femminile in Italia. Senza un adeguato sostegno finanziario, le leghe e le società sportive femminili potrebbero affrontare difficoltà nel mantenere gli standard professionali raggiunti, rischiando di compromettere i progressi ottenuti negli ultimi anni. Inoltre, la decisione potrebbe scoraggiare giovani atlete dall’intraprendere una carriera professionistica, percependo una mancanza di riconoscimento e supporto istituzionale. Una prospettiva che, chiaramente, non farebbe che acuire quel solco già abbastanza evidente e fastidioso che c’è tra quel che si fa in termini di politiche istituzionali per sostenere lo sport al maschile e quel che non si fa per quello femminile.

Sarebbe fondamentale, quindi, che società ed atlete facessero immediatamente pressione sul governo e le istituzioni sportive affinché riconsiderassero la decisione alla luce delle conseguenze di tale scelta e valutassero misure alternative per garantire un futuro sostenibile e prospero allo sport femminile professionistico nel nostro Paese.

L'Altra Notizia

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