Palermo: L’Europeo vinto è stato una felice parentesi tra anni di delusioni in Nazionale e nei club. Il nostro calcio paga un prezzo enorme: manca ancora una visione e non c’è coraggio.
I miracoli non si ripetono mai. Abbiamo aspettato, abbiamo sperato, ci abbiamo creduto. La notte di Palermo porta invece con sé una sconfinata amarezza. Nessun abbraccio, ma gli occhi sgranati e increduli di Mancini e Vialli che guardano un gruppo di giocatori macedoni in festa. Non andiamo ai Mondiali per la seconda volta di fila, perché il calcio italiano è rimasto la periferia di quello evoluto, nonostante ci fossimo illusi, a luglio, a Wembley, di aver ripreso finalmente il posto a capotavola tra i grandi del pallone. Non è andata così. Il mese dell’Europeo è stato soltanto una felice parentesi in mezzo ad anni di delusioni tra Nazionale e club nelle coppe. Qualche lampo (gli azzurri di Conte) però sempre troppo poco per un Paese che ha conquistato quattro Coppe del mondo arrivando sei volte in finale.
Quando l’Italia nel 2014 uscì subito dal mondiale brasiliano pensavamo di aver toccato il fondo, da allora siamo invece andati indietro. Talmente indietro da essere buttati fuori da una squadra, la Macedonia del Nord, molto meno attrezzata della Svezia che ci eliminò la volta scorsa. Non ci sono attenuanti, ci sono spiegazioni. Non abbiamo talenti, abbiamo in questi quattro anni perso tempo e terreno rispetto a Paesi che hanno saputo continuare a evolversi, a crescere. Non vinciamo una Champions dal Triplete di Mourinho, anche in questa stagione non abbiamo nessuna squadra tra le otto arrivate ai quarti. Non abbiamo un’idea condivisa su come ripartire, su come colmare la distanza da chi una volta era alle nostre spalle e adesso è davanti, lontano.