CAMPANIA, C’è un modo di stare nelle istituzioni che è diventato una caricatura di se stesso. Un modo di parlare, di urlare, di deridere, di aggredire, che ha trasformato il ruolo pubblico in un teatro dove l’unica regola è far rumore. Non conta più il rispetto, la misura, la responsabilità. Conta il volume, il sarcasmo, la battuta volgare. Conta la costruzione di un personaggio che si alimenta di sé stesso, che ha bisogno di uno scontro al giorno per restare in piedi, che trasforma anche le sentenze in carne da palcoscenico.
Quando un uomo delle istituzioni si permette di irridere la Corte Costituzionale, non con argomentazioni giuridiche, ma con parole di dileggio, con tono barbaro e rozzo, si scende in un baratro istituzionale da cui sarà difficile risalire. È inaccettabile, è indegno. Non è più politica, è spettacolo di infima categoria. E non si tratta di un errore isolato, ma di un copione già visto, di un modo sistematico di intendere la politica come sfida personale, come egocentrismo assoluto, come ossessione del potere.
Chi parla così non difende un’idea, non propone una visione alternativa, ma si difende da una realtà che gli sfugge di mano: il tempo che passa, il consenso che si logora, la legge che pone un limite. Un limite giusto, sano, necessario.
Perché la parte più inquietante di tutto questo non è nemmeno l’attacco alle istituzioni, che pure è grave. È l’idea che sia una “sciocchezza” la norma che impedisce a una sola persona di restare troppo a lungo al potere. È lì che si rivela il cuore del problema. Perché considerare una sciocchezza questo principio vuol dire rifiutare il concetto stesso di democrazia costituzionale. Vuol dire non accettare l’idea che nessuno è indispensabile, che la democrazia vive del cambiamento, della pluralità, della possibilità di alternanza. Vuol dire identificare sé stessi con l’istituzione, come se senza di sé tutto crollasse. Ma non è così. Non deve essere così.
La limitazione del potere personale non è un dettaglio tecnico: è una conquista della civiltà democratica. È ciò che ci protegge dagli abusi, dalle derive autoritarie, dalla personalizzazione ossessiva della politica. Chi la definisce una sciocchezza rivela un’idea proprietaria del potere. Non lo serve, lo occupa. Non lo restituisce, lo difende con ogni mezzo, anche screditando le più alte istituzioni repubblicane.
La vicenda del terzo mandato, al di là delle questioni giuridiche, pone una domanda politica e culturale fondamentale: è giusto che una sola persona governi per decenni lo stesso territorio? È giusto che il potere si concentri senza limiti nelle stesse mani, nello stesso volto, nella stessa voce che da troppo tempo occupa ogni spazio?
La risposta, per chi ha a cuore la democrazia, è semplice: no. Non è giusto. Non è sano. Non è democratico. E chi non lo capisce, nonostante tutto, è ormai ostaggio del proprio narcisismo.

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Tonino Scala segretario regionale Sinistra Italiana Campania

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