Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani sono stati chiamati a votare ai referendum popolari abrogativi su 5 quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza. Complici il sole ed il caldo infernali -non si può rinunciare ad una buona dose di vitamina D prima di ricominciare una settimana lavorativa, oppressi e sfruttati ,sotto il giogo del padrone- e le ripetute ed anticostituzionali sollecitazioni (come definire altrimenti l’invito al popolo a non esercitare un sacrosanto diritto e dovere civico in difesa del mantenimento dell’ordine democratico?) degli anti-libertari reazionari – che all’occorrenza si inventano tik toker o creatori di vignette che mirano a suscitare ilarità ma che, come un boomerang, restituiscono solo squallore- il Referendum non ha raggiunto il quorum.

Solo circa il 30,6% degli aventi diritto si è recato alle urne. L’astensionismo dilagante è un dato raccapricciante, se si considera, peraltro, che appena un anno addietro -alle elezioni europee- la popolazione votante in Italia si attestava intorno al 49,69%.

Ma è la democrazia a pagare il prezzo più alto dell’indifferenza ostinata dei più, dell’ignoranza ottusa di molti, del tentativo di soffocare gli ultimi singulti democratici di una destra autoritaria, repressiva e manifestamente nostalgica.

Le riflessioni, che l’appuntamento mancato alle urne di molti italiani ed italiane ci sollecitano, sono molteplici.

Scarsa informazione? Mancanza di unità di intenti? Incapacità di dialogare con le masse lavoratrici? O mero menefreghismo ed adeguamento acritico ad una spicciola propaganda di destra, che muove i fili della noncuranza e del mantenimento di un ordine precostituito e vessatorio nei confronti di una maggioranza schiacciata da un’élite tirannica?

Il sentimento comune e la percezione generale è quella di un intorpidimento dello spirito nazionale, di una narcosi, un’anestetizzazione collettiva, forse figlia -certamente immagine- di una distanza incolmabile tra le istituzioni e i cittadini, di una complessiva sfiducia nella possibilità di cambiamento sociale, nell’opportunità di mutare un malessere interiorizzato e costitutivo in un reale progresso della civiltà.

Sintomatico dello scacco della politica in genere nella sua funzione di mediazione tra le masse e lo Stato democratico è il difetto di aderenza dei più alla situazione socio-culturale, pubblico-amministrativa, economica del Paese, e l’impossibilità di sentirsi parte della res publica. Quella Repubblica che i nostri nonni hanno scelto, la stessa che i “Padri fondatori” hanno costruito con perizia e diligenza, mattone dopo mattone, articolo dopo articolo, nel rispetto dei valori di giustizia, egualitarismo, libertà, ha smesso di essere rappresentativa di un popolo allo sbando.

E se già critica è la situazione nazionale, ulteriormente  complessa è la condizione del Meridione, terreno di tribolazioni e lotte intestine, dimenticato dai governi ed abbandonato alla sua sorte, oscillante tra sovrappopolazione e spopolamento, degradazione ed oggettificazione turistica- le mafie e il buon cibo, la delinquenza e i paesaggi mozzafiato si strizzano l’occhio a vicenda- , che ancor più del resto del Paese sente intense le contraddizioni interne e vive la disillusione e il disincanto tipicamente italiani.

Se ad uno sguardo d’insieme spicca una condizione di globale decadimento, di fronte a cinque quesiti a tutela del lavoro precario e sottopagato, ci si sarebbe aspettati che il Popolo facesse la voce grossa. Quello che ne è uscito fuori è stato piuttosto un mormorio debole, un sussurro appena percettibile.

Eppure, quel borbottio quasi impaurito ha generato un rumore più energico del previsto. I 14milioni di italiani che si sono espressi hanno consolidato e rinsaldato la fede nella possibilità di ripartire da qui. Dei votanti, circa il 90% si è espresso favorevolmente sui primi quattro quesiti. Considerazioni a parte andrebbero fatte per la questione della cittadinanza- ma il razzismo, si sa, è una malattia introiettata dagli italiani, che forse hanno dimenticato la propria storia migratoria o hanno solo trovato un nemico comune nello “straniero” additato dalla destra- che ha visto, invece, una risposta positiva pari a circa il 60%.

In ogni caso, i numeri registrati- l’affluenza di 14 milioni di italiani alle urne, la vittoria (mutilata) schiacciante del SI – sono superiori a quelli che hanno portato l’attuale premier alla guida del Paese (12 milioni e 300mila voti). Il che implicherebbe un ulteriore spunto di analisi sulla possibilità di eliminare il quorum per la convalida di referendum popolari.

Se l’obiettivo del quorum, infatti, è evitare che un’esigua minoranza di elettori possa prendere decisioni riguardanti l’intera collettività, non è forse più preoccupante che sieda al governo una figura rappresentativa della tendenza politica di una fetta ancor più ristretta della Nazione?

Se la Sinistra, proverbialmente dalla parte degli ultimi, mostra così di aver fallito, nemmeno le iene della destra, che degli ultimi non ha mai avuto il benché minimo interesse, possono gioire sulla carcassa della morte della vita democratica.

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