È inevitabile affermare che l’Italia oggi sia uno dei paesi europei più razzisti e conservatori; lo può confermare lo stretto legame che c’è, politicamente parlando, tra conservatorismo e razzismo.

Volendo costatare tale affermazione bastano pochi minuti: navigando su Internet, è facile reperire notizie a sostegno della mia tesi, in quanto molti sono i casi in cui implicitamente o esplicitamente si promulga stigmatizzazione razziale. I primi fautori di questo fenomeno sono proprio i cosiddetti Capi di Stato, i rappresentanti politici, per lo più di destra. In molti discorsi diplomatici sono state pronunciate parole mirate a denigrare l’altro, con il solo scopo di aurare l’Italia e gli italiani.

Inoltre, dato che il mio obbiettivo è quello di informare e non di ciarlare, nel 2023 si è svolta un’indagine a cura della FRA, ossia l’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali. Tra i vari dati è emerso che in seguito a varie analisi fenomenologiche, l’Italia è risultata il paese più razzista rispetto agli altri dodici presi come campioni, mostrando una percentuale pari al 48%.

I numeri a volte possono sembrare esagerati e difficili da comprendere, ma bisogna partire dal presupposto che razzismo non è solo hate speeches. La stigmatizzazione razziale avviene anche quando si assumono determinati comportamenti ed atteggiamenti, che vanno a sminuire, umiliare, denigrare l’altro.

Non si è razzisti soltanto contro lo straniero o l’extracomunitario. I due termini non vanno confusi o utilizzati similarmente, poiché uno indica rispettivamente colui che si trova in un luogo diverso da quello di appartenenza, l’altro proviene da un luogo non membro della comunità europea.

Molto spesso il razzismo è un fenomeno molto più circoscritto, che va a demarcare quella linea immaginaria tra nord e sud, ma anche tra province. Un esempio proprio della cultura campana potrebbe essere l’odio interiorizzato tra napoletani e salernitani, beneventani e avellinesi.

Volendo fare un tuffo nel passato, un rapido excursus storico-culturale, al contrario di quanto si possa credere, si può notare quanto in realtà l’Italia sia stato uno dei paesi più accoglienti e aperto all’altro.

Ciò è dovuto al fatto che gli italiani per antonomasia, sono stati i primi migratori verso il nuovo mondo, perché allora come oggi, le opportunità lavorative erano molto scarse.

Molte sono le comunità italiane sparse per il mondo; le più popolate sono senza dubbio a New York e in Argentina, ma anche in Brasile, Francia, Germania. Anche la nostra lingua è testimone dell’influenza delle altre culture, sin dalle sue origini.

L’italiano ha acquisito numerosi neologismi soprattutto in seguito alle due guerre mondiali, durante le quali si ha avuto modo di confrontarsi e comunicare con gli stranieri.

Ovviamente però la domanda che cerca più risposta è :“da quando l’Italia è diventata così razzista?”

Se da una parte il colonialismo e l’imperialismo hanno spinto l’uomo italiano altrove per migliorare le proprie condizioni socioeconomiche, seppur servendosi della violenza e della soggiogazione, dall’altra l’avvento del nazi-fascismo ha incentivato negativamente e fanaticamente quel preconcetto di razza, dandogli a priori una connotazione dispregiativa, che è stata poi così accolta dal vocabolario della lingua italiana.

Di per sé, il sostantivo “razza” non indica nulla di negativo, se non un gruppo di elementi che condividono determinate caratteristiche, per lo più genetiche.

Dal momento in cui però, il nazional socialismo ha introdotto il concetto di razza ariana per indicare una parte della comunità tedesca, includendo soltanto individui aventi determinate caratteristiche, di conseguenza il significato si è amalgamato a tale concezione, marchiandosi per sempre di un’accezione negativa.

È proprio dagli anni Venti del Novecento, periodo in cui ascende al potere Mussolini inculcando al popolo l’ideologia fascista, specchio di quella nazional socialista che però aveva luogo in Germania, che l’Italia inizia a nutrire odio e disprezzo verso l’altro, percependolo come valido modo per incrementare la propria pseudo-superiorità.

Il fascismo, oltre a segnare l’Italia dal punto di vista politico, l’ha fatto soprattutto dal punto di vista sociale e antropologico.

L’uomo ha subito una violenza psicologica così forte, da cambiare radicalmente il proprio modus cogitandi, vivendi, operandi.

La gravità sta nel fatto che l’uomo arrivò a credere di aver elaborato autonomamente la propria ideologia, senza riconoscere che gli era stata inculcata e forzata.

Non a caso, l’assetto politico postumo alla guerra sino ai nostri giorni, prende come emblemi di riferimento proprio il fascismo per l’estrema destra e il comunismo per l’estrema sinistra. Certo, e per fortuna direi, nel tempo ci sono stati dei mutamenti e dei piccoli progressi, ma l’influenza fascista è notevole ed innegabile.

Ergo, quando affermo che sono in particolare i rappresentanti politici e i sostenitori della destra a promulgare il razzismo, probabilmente è dato da quel velo sottile o più spesso che sia, di filo-fascismo interiorizzato ma sempre negato.

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