Un’altra anima spezzata via, un’altra vittima innocente.
Emanuele Tufano, 15 anni, residente nel rione Sanità, nel cuore del centro di Napoli,
è stato l’altra sera ucciso con spari di arma da fuoco al Corso Umberto di Napoli, alle due di notte, da alcuni suoi coetanei.
Un altro giovane che muore per colpa del tumore sociale più maligno che esiste nel mondo.
C’è chi parla di vendetta, chi di punizione, chi di una dimostrazione di lealtà e di coraggio, ma di fatto resta che anche Emanuele non c’è più.
Se si vuole essere coerenti con la vita e persone corrette, e non solo politicamente, non bisogna sottovalutare la vita di nessuno.
Tutti possono sbagliare, ma tutti hanno comunque diritto alla vita.
A “raddrizzare” ci pensa la legge, l’uomo per cambiare ha bisogno di essere rieducato, non ammazzato.
Non è perché Emanuele aveva compiuto un furto, o comunque aveva scelto di intraprendere una strada sbagliata meritava di morire, mentre un altro ragazzo qualsiasi, magari figlio del vicino, del salumiere, del professore, dell’avvocato avrebbe dovuto continuare a vivere.
Emanuele, e così come tutti quei ragazzi che si perdono durante il proprio cammino di crescita, durante il proprio percorso educativo, ha pari dignità di tutti i suoi coetanei.
I suoi sbagli li avrebbe pagati, se non quel giorno magari un altro, tra un mese, anche tra un anno, ma non avrebbe trovato scampo.
Magari sarebbe potuto cambiare, migliorare, avrebbe scoperto nuove inclinazioni, si sarebbe fatto una famiglia.
Ora tutto questo non può più accadere, perché Emanuele è morto.
È stato ammazzato, uno dei tanti colpi gli ha trafitto la schiena, è stato preso da dietro.
La dinamica l’abbiamo già sentita tutti, è la medesima di Emanuele Sibillo.
Stesso nome, stessa sorte.
Stessa sorte, stessa morte.
Certo, c’è chi dirà “ognuno è artefice del proprio destino”.
Grazie, ma così come noi siamo qui che possiamo giudicare e dire la nostra, loro stanno o in cielo, o sottoterra, che non possono parlare e non possono difendersi.
Inutile neanche ricordare solo ora che la camorra uccide e fa danni, mentre magari le stesse persone dicono anche “grazie alla camorra si sta tranquilli”.
No, non si sta tranquilli. Si sta tranquilli se si sta in silenzio e si ubbidisce.
E stare in silenzio significa collaborare. Stare in silenzio, ubbidire “per quieto vivere” significa alimentare un sistema che uccide persone, che vive navigando nel sangue degli altri.
Fare così significa essere responsabili di tutti gli omicidi e di tutti i reati che vengono commessi.
Di tutto il commercio illegale che gira intorno, di tutte le aggressioni, le violenze, i sequestri, le estorsioni.
Se si vuole davvero essere riconoscenti alle vittime, bisogna iniziare a dire no, ad urlare, a farsi sentire. A non avere paura.
Qualsiasi siano state le cause, qualsiasi siano state le scelte del ragazzo, rispetto per la vittima.
Su questa terra siamo osservatori di tutti, giudici di nessuno.