MARANO. Nella serata di mercoledì 12 marzo si è svolta, presso la “Casa dei Diritti”, la presentazione del volume “Il giovane Enrico”- la cui stesura, a quattro mani, è stata curata da Andrea De Simone, sociologo e politico, e Tonino Scala, scrittore, sceneggiatore, giornalista e segretario regionale di Sinistra Italiana- un romanzo di formazione- naturalmente politico nella sua genesi e nella sua gestazione-, una nostalgica lettera d’amore ad un “rivoluzionario di professione” e ad una stagione epica della storia partitica dell’Italia, o anche una preghiera laica, un’invocazione fragorosa ed assordante, rivolta al cuore, alla pancia e all’animo del popolo, un appello alla sua coscienza, affinché risorga dalle ceneri dell’ingrigito panorama socio-culturale dei giorni nostri. Un’eredità storica e un’amara constatazione.

Muovendo dalle radici della sua giovanile formazione morale, intellettuale e civile -dall’angusta e sbrindellata sede di Partito, avvolta in una patina di anonimità e segretezza, rigurgitante di una furiosa smania di emancipazione e di riscatto, ai moti del pane e all’arresto in una fredda mattina del 1944, nel cuore della Resistenza, fino al timido incontro con Palmiro Togliatti- il ritratto di Enrico Berlinguer è tracciato in un’armonia di linee, suoni e colori che ci restituiscono una figura imponente e statuaria, duttile ed impetuosa, suggestiva nel suo lirismo.

Quella di Berlinguer è una figura intoccabile ed inviolata, che attraversa decenni avvolta in un alone ascetico, in un’aura di sacralità e di ossequioso rispetto. A cooperare alla sua mistificazione contribuisce, di certo, la forza seduttiva, la malia che esercita ancora, pungolando gli animi, un campo magnetico fatto di pelle e ossa, di viscere e di spirito, catalizzante e catalizzatore di un’elettricità unanime, di intenti, di istanze, di idee.

Ma il vigore del suo profilo umano risiede, soprattutto, nella sua abilità visionaria, nell’immanenza della sua politica: in lui ideologia e pratica del bene comune si fondono inscindibilmente; l’esercizio della cura si irradia alle masse e si nutre della luce riflessa della potenza della rivendicazione. In lui coesistono l’uomo di partito e quello d’azione, l’antifascismo e l’anticapitalismo e l’origine aristocratico-borghese. Nella sua eccezionale singolarità si rintraccia il carattere ordinario della sua esperienza.

Enrico, il giovane militante comunista, è nei racconti della Resistenza italiana di una madre, è nella memoria storica di una nazione, è in zia Ines, nella guerriglia partigiana, nella lotta quotidiana per il pane e per la vita; è sepolto nella reminiscenza di un secolo intero, ancor prima di esserlo. Al di fuori della dimensione storica, geografica e temporale in cui si colloca, era già. Fu. Nell’ancestrale, innato sentimento collettivo di liberazione, nella scintilla della rivoluzione.

Una statua di carne plasmata da un Ptaḥ, il creatore, o figlio eloquente del prospero ventre di Calliope, la sua stessa vita è stata una lunga storia d’amore con l’Italia; il suo lascito un testamento poetico.

Avviluppata nelle spire soffocanti dell’odio, dell’intolleranza, della persecuzione della diversità, stagnata in una moderna e reazionaria Restaurazione, la società del ventunesimo secolo ha l’esigenza e il dovere morale di riappropriarsi della lezione tramandata da Berlinguer, nel tentativo di contrastare l’incombere agghiacciante dello spettro dei neofascismi- e delle loro evolute manifestazioni. Il fallimento dell’esperienza della generazione politica progressista contemporanea è da imputare, infatti, non soltanto alla diffusa ondata nera che ci investe- e che fa leva sulla paura, sull’individualismo di matrice capitalistica e neo-liberista, e su un retroterra culturale ancora fortemente radicato, negli intenti e nelle azioni, ad una concezione della violenza come strumento di affermazione- ma anche alla mancata capacità di instaurare con le masse un dialogo serrato, continuo, reciproco e collettivo, che tenga conto degli interessi e delle esigenze di tutte le soggettività, promuovendo un’idea coerente e credibile; una politica del bene comune.

Come ripetutamente sottolineato, nel corso della discussione- moderata dall’attivista di Sinistra Italiana e consigliera d’opposizione del Comune di Marano Stefania Fanelli- dal ricercatore universitario Fabio Carbone e dall’autore Tonino Scala, la consolidata prassi di ricercare soluzioni semplici a problemi complessi ha determinato non solo una banalizzazione della pratica politica in sterili sillogismi ed argomentazioni deboli e fiacche, ma anche una più complessiva assenza del senso del reale, venendo meno il pluralismo di idee e concezioni alla base del discorso democratico.

Lo svecchiamento, poi, dei quadri istituzionali -in favore magari anche della concreta, non solo discussa, parità di genere nei luoghi del potere- potrebbe costituire il punto di arrivo -e non quello di partenza- di una più generale inversione di rotta nel modo di fare politica. Ma la “beata gioventù” del Bel Paese ha da tempo perso ogni ago della bussola, ogni punto di riferimento. Solo riavvicinando la popolazione giovanile, rieducandola, formandola all’esperienza civile e civica, si può sperare che la consegna delle “chiavi di San Pietro” nelle mani del futuro getti nell’oblio l’oscurità dei nostri tempi e apra le porte alla civiltà.

 

 

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