Nelle giornate di sabato 13 e 20 dicembre, presso l’IC “Amanzio-Ranucci-Alfieri”, si è svolto l’annuale open day, in un “un viaggio educativo attraverso i valori della pace, della legalità e della sostenibilità ambientale” che ha coinvolto gli alunni e le alunne di tutti i livelli scolastici, dall’infanzia alla secondaria di primo grado. Nell’ambito di un progetto di continuità verticale “Mare Nostrum” -mediante un approccio didattico trasversale, che supera la tradizionale frammentazione disciplinare del sapere, promuovendo lo sviluppo di abilità interdisciplinari, il pensiero critico e la cittadinanza attiva- la manifestazione natalizia si è dipanata attraverso la realizzazione di mercatini solidali, dell’esposizione in mostre creative dei lavori artistici realizzati dagli studenti, e in performance artistiche, spettacoli che hanno messo in scena le tradizioni natalizie del Mediterraneo.
Dai piccoli “pittori francesi” e “ballerine di flamenco spagnole” alla realizzazione del presepe tipico della tradizione napoletana -che hanno coinvolto gli alunni dell’infanzia e della primaria- alle rappresentazioni teatrali -in cui si sono cimentati gli allievi della secondaria di primo grado- “un mare d’amare”, una rigenerante ondata d’amore ha travolto i presenti.
Il progetto, estrosamente moderno ed innovativo, ha offerto una visione speculare del Mediterraneo, una reinterpretazione pioneristica che si fonda su basi storiche concrete, su una prospettiva dilatata, non già nel segno di un ottuso nazionalismo, quanto piuttosto in un’ottica multietnica e transculturale. Un mare che si fa uomo, umano. Che diviene il simbolo dell’umanità tutta, della mescolanza di tradizioni, di figure fiabesche e di tragedie storiche, permeato di una sacralità laica e dai tratti mitologici.
Non trascurando le nostre radici identitarie, l’attività realizzata permette piuttosto la possibilità di non restare relegati ai margini del costume tipicamente occidentale, incentrato generalmente sulla secolare pretesa di una superiorità morale della tradizione dell’Occidente sulle altre culture, ma insegna piuttosto ai ragazzi, e ai destinatari tutti, la bellezza del varcare i confini dell’ignoto per aprirsi alla possibilità e al piacere istintivo della conoscenza dell’altro, della sua specificità, dei ponti possibili tra culture diverse. Non la negazione del diverso, ma la sintesi delle sfaccettature molteplici che ci rendono umani.
Il Mediterraneo come culla della civiltà, mare plasmatore di vita. In una millenaria gestazione, partorisce ogni giorno un’anima nuova sulle coste composite che lambisce, reinventa la sua natura.
Ma questo immenso padre della civiltà mostra un volto nuovo, ci restituisce simmetricamente anche l’immagine di ciò che siamo diventati, di quello che il nostro avanzamento tecnologico, il nostro agognato progresso sociale ha prodotto.
Parricidi più o meno inconsapevoli, ci troviamo a fare i conti con il modo in cui stiamo deformando la natura, con i danni che arrechiamo all’ambiente, con il futuro aleatorio e spaventoso che lasciamo in eredità ai posteri, col dolore che infliggiamo ai contemporanei. Se il Mediterraneo è il nostro progenitore comune, se dalle sue onde splendenti è nata la vita, è pur vero che si trasforma ogni giorno in un luogo di morte. Si tinge di sangue. Da acqua generatrice, a luogo di sepoltura.
Un mare crocevia di popoli e culture, un caleidoscopio di leggende, folclore e costumi, un passaggio per la fuga di milioni di donne e bambini, giovani e anziani.
Nella discordia che, in maniera sibillina o più apertamente marcata, insidia le personificazioni di Malta, dell’Italia- e più specificamente Napoli nella figura di Partenope-, della Turchia, dell’Africa, della Spagna e della Francia, che si stagliano sulla scena teatrale, si riflette il clima di odio che attanaglia la nostra epoca, segnata da conflitti teologici, da guerre, massacri, da divisioni ideologiche. Ciascuna di esse, nel tentativo di dimostrare l’egemonia della propria tradizione culturale, indebolisce il Mediterraneo, lo strema, lasciandolo in balia dell’isolamento. Nella medesima scia si inserisce il riferimento alle tre grandi religioni monoteiste- Cristianesimo, Islam, ebraismo- in nome delle quali l’umanità nella sua millenaria storia, si è scissa, si è dilaniata. Ma il punto focale è, ancora, la possibilità di riconoscersi reciprocamente, di valicare il muro della diffidenza in nome di un Dio che si crede diverso, ma che si scopre lo stesso nella sua dimensione intimistica di amore e compassione. “Tre strade diverse, un solo Dio, un solo cielo, un solo mare…Gerusalemme è città santa per tutte e tre. Tikkun Olam: riparare il mondo. Il nostro compito comune per garantire il benessere collettivo”. E oltrepassando le barriere dell’intolleranza e del settarismo, il Mediterraneo può finalmente sentire “il sale tornare nelle sue acque”, che tornano a danzare come un tempo. Non è un miracolo natalizio: è “la filosofia greca che incontra la poesia araba, la danza spagnola che abbraccia la musica italiana, la raffinatezza francese e la saggezza africana che curano i sogni di tutti i popoli”.
Questa narrazione veritiera, acuta, disinvolta e a tratti dissidente non spaventa, stupisce. Con sensibilità e coraggio insegna ai più piccoli -e si auspica anche a chi si volta dall’altra parte, finge di non vedere o guardare proprio non desidera- il valore della fratellanza, dell’empatia, della filantropia, della sincera partecipazione alla sofferenza dell’altro. Laddove la società ci spinge ad alzare barriere, a chiuderci in un gretto individualismo, ad un egoismo e ad un’ambizione insalubri, proiettati unicamente ad una scalata verso il successo, progetti come “Mare Nostrum” permettono di invertire la rotta, di riscoprire la nostra umanità, di lasciare che i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze sentano e vivano l’amore, la condivisione e la cooperazione come sentimenti e strumenti indispensabili per la costruzione del sé e di una famiglia umana che non lascia il posto alla disuguaglianza e all’ingiustizia.
Il Mediterraneo nonostante sia “disordine” è anzitutto sinonimo di vita, pur con tutte le sue crepe, profonde e visibili, gli enigmi, le lacerazioni e gli entusiasmi. Il Mediterraneo diverso e multiplo, contraddittorio, eppure simile a se stesso, ricco e povero, violento e placido, crudele e magnifico, necessario e brutale – questo Mediterraneo è una ferita dell’anima che non sarà mai chiusa, mai dimenticata. Eppure ogni mattina la vita prevale e trionfa.





