Roma: La speranza è stata l’ultima a morire. Il Pd ha sperato fino all’ultimo che la campagna elettorale spostasse qualcosa in un risultato già scritto. Ma ventimila chilometri dopo, metà dei quali con il bus e le auto elettriche, 340 incontri tra agosto e settembre e tre chili in meno, Enrico Letta deve prendere atto della sconfitta del centrosinistra, soprattutto del risultato risicato per i Dem.

La “soglia psicologica”, come la chiamano al Nazareno, era stata fissata nel 20%, e non arrivarci è una débacle. Gli alleati – con +Europa di Emma Bonino in crescita, ancora meglio Fratoianni-Bonelli, mentre Impegno civico di Di Maio è basso – fanno salire il risultato complessivo intorno al 26%.

La vittoria della destra è un giorno brutto per il Paese”, afferma Fratoianni, che però centra il bersaglio perché la lista Sinistra-Verdi è sopra il 3%, anche se sotto la quota che gli riservavano i sondaggi. Quindi la soddisfazione si mischia alla “preoccupazione per l’Italia”.

I numeri dem significano l’inizio certo di una resa dei conti nel partito. Per il congresso dem è solo questione di tempo: o in modo ordinato nel 2023 oppure subito. Goffredo Bettini, tra i più convinti sostenitori dell’accordo con Conte e i 5Stelle, avrebbe già strappato l’ultimo capitolo del suo nuovo libro sostenendo che è da riscrivere, perché diventerà un canovaccio in vista appunto del congresso.

Al Nazareno la lunga attesa notturna è all’insegna della cautela. “Partita finisce quando arbitro fischia”, è la massima più ripetuta. Però in discussione ci sono il Pd e la sua identità e la leadership. Gianni Cuperlo precisa: “Grazie a Enrico, il Pd c’è stato, ha fatto la sua campagna e sarà il pilastro dell’eventuale opposizione se questi dati saranno confermati. Lavoreremo per ricostruire un campo largo alternativo alla destra”.

Il pomo della discordia è proprio la strategia delle alleanze mancate, quel “campo largo” naufragato tra il voltafaccia di Conte al governo Draghi e l’accordo strappato da Calenda. E qui i dem si dividono tra i filo-grillini e i riformisti.

Per Francesco Boccia Michele Emiliano, rispettivamente responsabile Enti locali dem e governatore della Puglia, uomini del Sud, la rottura con i grillini di Giuseppe Conte è il vulnus da cui i dem hanno tratto il maggior danno. E Boccia rimarca: “Con il M5S si aprirà una nuova stagione”.

Enrico Borghi, responsabile Sicurezza del partito e molto vicino al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, si sfoga: “Con lo strappo di Calenda è morta la coalizione”. E poi fotografa la tenaglia in cui si è trovato il Pd, stretto tra Terzo Polo e M5Stelle. “Tutti hanno fatto la gara su di noi: Renzi e Conte hanno investito per decapitare questo vertice, puntando a spolpare il partito”, denuncia.

Lo scarto con la destra è amplissimo. Dario Franceschini arriva al nazareno dopo i primi exit poll, e fa sapere che seguirà i numeri reali accanto al segretario Letta. I dem sono sotto botta. Durante la giornata nelle chat circola di tutto: da “in bocca al lupo” ai candidati alla speranza che l’afflusso di votanti della tarda mattinata, soprattutto nelle regioni rosse, Toscana e Emilia Romagna, significhi che gli elettori di sinistra sono tornati.

C’è il filmato di Roberto Benigni inviato in chat da Andrea Marcucci per alleggerire un po’ il clima. Col fiato sospeso sono i candidati che si giocano il tutto per tutto nei collegi uninominali. Dato l’effetto strascico della legge elettorale, negli uninominali non può che andare male per i dem. Andrea Giorgis a Torino gira tra i seggi e raccoglie l’inquietudine dei compagni “perché si ha consapevolezza di quale sia la posta in gioco”.

Monica Cirinnà, responsabile Diritti, candidata all’uninominale Senato a Roma, si presenta al seggio per votare e fa mettere a verbale che “la divisione dei registri elettorali per maschi e femmine va superata. È un ostacolo all’esercizio del voto delle persone trans e non binarie che, in questo modo, sono costrette a fare coming out”. Lo stato maggiore del Pd è riunito.

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