Sono circa cinque milioni gli italiani che soffrono di incontinenza urinaria, pari a quasi il 9% della popolazione, ma ancora oggi molti evitano di parlarne con il medico per vergogna o imbarazzo. Una condizione che, invece, può e deve essere affrontata, perché nella maggior parte dei casi esistono percorsi diagnostici e terapeutici efficaci. A sottolinearlo è il professor Vincenzo Mirone, urologo, responsabile dell’Ufficio pazienti della Società Italiana di Urologia e presidente della Fondazione PRO, intervenendo sul tema dell’incontinenza urinaria.
“L’incontinenza è la perdita involontaria di urina e spesso rappresenta un sintomo, non una malattia in sé – spiega Mirone –. Non va mai considerata una condizione “normale” legata all’età. Perdere urina non è fisiologico e va sempre indagato”. Le forme principali di incontinenza sono quella da stress, che si manifesta durante sforzi come colpi di tosse o sollevamento di pesi, quella da urgenza, legata a uno stimolo improvviso e incontrollabile, e quella da rigurgito o ostruttiva, dovuta a uno svuotamento incompleto della vescica.
Le cause possono essere molteplici e comprendono infezioni delle vie urinarie, calcoli, patologie neurologiche, problemi intestinali, cambiamenti ormonali legati alla menopausa, esiti di interventi chirurgici come l’isterectomia, oltre ai disturbi prostatici e agli interventi oncologici alla prostata negli uomini. Anche alcuni farmaci e specifiche abitudini alimentari possono contribuire all’insorgenza del disturbo. Esistono inoltre fattori di rischio differenti tra uomini e donne. Nelle donne incidono in modo particolare gravidanza, parto e menopausa, mentre negli uomini risultano determinanti l’età, l’ingrossamento della prostata, la chirurgia prostatica e alcune patologie neurologiche. Sotto varie forme, l’incontinenza può comunque colpire tutte le fasce d’età, compresi i giovani.
“La prevenzione passa da corretti stili di vita, ma soprattutto dall’attenzione ai primi segnali – sottolinea Mirone –. Prima si interviene, maggiori sono le possibilità di risolvere il problema”. Il percorso diagnostico parte dall’anamnesi e dall’esame obiettivo, prosegue con gli esami di primo livello come l’analisi delle urine e del sangue e l’ecografia addomino-pelvica e, quando necessario, si completa con esami di secondo livello come lo studio urodinamico, la cistoscopia e la cistografia.
Nei casi in cui l’incontinenza sia correttamente diagnosticata, è previsto anche il supporto del Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione di presidi assorbenti, con un aiuto concreto per ridurre l’impatto economico del problema sulle famiglie. Una volta individuata la causa, il trattamento viene personalizzato e può includere la riabilitazione del pavimento pelvico, le terapie farmacologiche, la stimolazione del nervo tibiale, la stimolazione magnetica funzionale e, in alcuni casi, le iniezioni di tossina botulinica o collagene.
In situazioni selezionate può essere indicata anche la neuromodulazione sacrale, una tecnologia avanzata che consente di recuperare il controllo della vescica attraverso l’impianto di un dispositivo in grado di modulare l’attività dei nervi vescicali. Quando le terapie conservative non risultano efficaci, si ricorre alla chirurgia, oggi sempre più orientata verso tecniche mininvasive che permettono degenze brevi e un minore impatto sul paziente.
“La chirurgia sta facendo passi da gigante – conclude Mirone – e in futuro anche l’intelligenza artificiale potrà avere un ruolo importante. Il messaggio più importante resta però uno: non bisogna convivere in silenzio con l’incontinenza, perché oggi possiamo curarla nella grande maggioranza dei casi e restituire ai pazienti una buona qualità di vita”.

