Molte sono le invenzioni del ventunesimo secolo mirate a cambiare la vita dell’uomo, ma la più significativa è quella più recente. Si tratta dell’invenzione di un sistema provvisto di una moltitudine di programmazioni, capaci di simulare le funzionalità delle mappe cognitive umane.
La comunità scientifica gli ha dato l’appellativo di “Intelligenza artificiale”, o (IA), in quanto rispecchia ad un’elevata percentuale le competenze cognitive umane. Tuttavia, si tratta comunque di un artificio creato dalla mente e dalla mano dell’uomo.
Essa è riuscita a sostituire l’essere umano già in molte attività, sia in ambito lavorativo sia in quello quotidiano. Riesce in brevi frazioni di tempo a svolgere mansioni al posto degli umani, senza commettere nessun tipo di errore, in quanto tutto meccanico e programmato.
Già qualche tempo fa era possibile poter affiancare alle proprie attività l’ausilio di robot e vari strumenti tecnologici, ai quali bastavano un paio di clic o comandi vocali ed essi si attivavano.
Oggi però la situazione è sfuggita di mano, poiché non si tratta di un semplice ausilio, ma di vera e propria sostituzione.
I sistemi odierni sono capaci anche di comunicare con l’uomo, formulando frasi e pensieri. È possibile poter avviare una conversazione, in quanto l’IA è in grado di formulare e trasmettere risposte immediate, attinenti alla domanda, e consone al contesto.
Ovviamente in quanto frutto della scienza e della robotica, stiamo parlando di formattazioni ipersviluppate, per questo superiori al quoziente intellettivo umano.
Nonostante si tratti di software, non è preclusa la programmazione di elementi finalizzati all’emulazione di emozioni e sensazioni.
Proprio per la sua completezza, si sta pensando di sfruttare l’intelligenza artificiale per creare degli androidi antropomorfi, adattandoli ai propri interessi e alle proprie preferenze.
Anche se quest’idea surreale può per certi versi affascinare e incuriosire, è giusto che però le si riconosca la pericolosità a livello antropologico e sociologico.
Il pensare che in futuro l’uomo si troverebbe a dover interloquire e a relazionarsi con individui privi di coscienza, e dominati esclusivamente dalla tecnologia, significa che inevitabilmente si diffonderebbe a macchia d’olio il fenomeno della “spersonalizzazione”. Questi non è un termine nuovo, bensì se n’è sentito parlare ogni qualvolta che l’uomo si è trovato nel corso della storia a contatto con novità e nuovi sistemi, che andavano a modificare il suo modo di interagire con la realtà e chi la compone.
Bisogna tener conto che la psiche umana è molto fragile, e qualsiasi fattore esterno può intaccare notevolmente le sue capacità e le sue funzionalità.
Già a partire dalla diffusione dell’uso dei social network, la socializzazione ha subito cambiamenti radicali.
Esempio emblematico, seppur estremo, è la diffusione degli “Hikikomori”. Si tratta di persone, per lo più giovani, alle quali l’utilizzo della tecnologia protratto nel tempo, ha causato una certa disfunzionalità neuro-cognitiva, andando a colpire i neuroni relazionali, cioè i neuroni specchio.
Gli Hikikomori entrano in un tunnel buio, da cui non hanno intenzione di uscire. Non vogliono più interagire con il mondo esterno, compreso il nucleo familiare. Preferiscono svolgere la propria vita all’interno di uno spazio di pochi metri quadri, dove l’unico elemento ad accompagnarli è il pc.
Ciò ovviamente non è altro che la conseguenza di un certo disagio sociale, scaturito o alimentato dall’utilizzo spropositato, inconsapevole, e malsano della tecnologia.
Questo è solo uno degli esempi propedeutici alla spiegazione della fragilità della mente umana, e di quanto sia facile influenzarla.
Un mondo fatto di robot andrebbe a plagiare l’uomo, fino a plasmarlo. Probabilmente egli entrerebbe in uno stato di crisi e “disconoscimento”, sino ad arrivare a credere di essere anch’egli un robot.
Il disconoscimento sarebbe il risultato totale e finale della spersonalizzazione, in quanto l’individuo non avrebbe più una personalità da potersi riconoscere.
Che l’uomo sia di facile condizionamento non è una novità. Di fatti è possibile condizionarlo semplicemente sapendo usare le parole in un certo modo, ricorrendo ai vari amalgami linguistici.
Ne sono la più concreta dimostrazione le propagande tiranniche e totalitarie, e le fake news.
Non ci resta che sperare che quest’idea rimanga tale, e che la socialità continui a riguardare esclusivamente gli uomini. È giusto che la comunità la facciano gli esseri umani e le relazioni tra loro.
“Imparate da me quanto possa essere pericoloso acquisire la conoscenza”
Mary Shalley, Frankstein