Di Gabriele Granato
Roma: Il 13 febbraio scorso, Jakub Jankto, calciatore della Repubblica Ceca, aveva fatto coming out perché stanco di doversi nascondere.
Le sue parole, nel complicato mondo del calcio, sono immediatamente risuonate come liberatorie ed allo stesso tempo capaci di mettere in discussione dalle fondamenta un sistema che fa del machismo un suo valore fondante.
“Libero”, giornale che parla a quella parte di società maggiormente retrograda ed abbruttita, non a caso, il giorno dopo parlava di “outing” (ignorando la differenza sostanziale con “coming out”) e titolava “Arriva a fine carriera e si ricorda che è gay”.
Attacchi mediatici nei confronti del calciatore ex Udinese e Sampdoria, che avevano il solo scopo di delegittimare e depotenziare le sue parole per paura che realmente potesse cambiare qualcosa, dentro e fuori il mondo calcio.
E così, per gli stessi motivi, ora che Jankto torna a giocare in Italia, al Cagliari, il Ministro dello Sport ha ben pensato di accoglierlo con delle dichiarazioni altrettanto vergognose.
Abodi, infatti, ha blaterato di scelte e di ostentazione in relazione al coming out del calciatore come se una persona scegliesse il proprio orientamento sessuale un poco come scegliamo quale libro voler leggere sotto l’ombrellone o quale vestito voler indossare ad una festa.
Così come il suo “non amo le ostentazioni”.
Ed allora ancora una volta ci sembra evidente che il calcio e la politica siano strettamente interconnessi, con la seconda che individua il primo come strumento ideale per veicolare determinati messaggi.
Dal canto nostro, allora, solo riuscendo ad unire quello che è il mondo del calcio al resto della società, generalizzando istanze, rivendicazioni e battaglie, si può sperare in un calcio diverso, così come in un mondo diverso, dove la “diversità” non venga vista più come qualcosa di cui aver paura o da dover combattere!