Di Gabriele Granato
In questi giorni ha fatto molto discutere la mancata cessione del terzino brasiliano del Sassuolo Rogerio allo Spartak Mosca. Soprattutto per le motivazioni addotte dalla società nero verde:
“La trattativa è stata fatta dal suo procuratore, c’è stata una proposta davvero molto importante pari a 8 milioni di euro e considerando tutto abbiamo deciso di non procedere come proprietà e dirigenza. Motivi etici: non abbiamo voluto trattare coi russi. Abbiamo voluto far prevalere la coscienza di non fare affari con un certo paese. E sì, a costo di perderlo a zero. Non è che Rogerio non sia più sul mercato. Lo è. Ma la scelta è stata di natura diversa, qualora dovessero arrivare offerte da altri club le valuteremo”.
Queste le parole che l’ad del Sassuolo, Andrea Carnevali, ha rilasciato nel corso di un intervista per spiegare lo stop alla trattativa, durata oltre quindici giorni, che avrebbe dovuto portare il terzino brasiliano Rogerio a giocare a Mosca, sponda Spartak, dopo che da oltre 6 anni difende i colori nero verde.
Una scelta dettata non da interessi economici non soddisfatti visto l’offerta di 8 milioni di euro, né tanto meno una scelta di natura tecnica considerando che il calciatore è ancora sul mercato, ma come dichiarato dallo stesso dirigente del Sassuolo una scelta di tipo etica, da inquadrare all’interno del conflitto russo-ucraino.
Un’etica ad uso e consumo di chi detiene le chiavi d’ingresso del parco giochi chiamato calcio che non impedisce al Sassuolo, come a tantissime altre squadre, di concludere affari con squadre Israeliane o della Saudi League che, di certo, non sono fulgidi esempi di democrazia!
Un’etica che spinge il Sassuolo a schierarsi apertamente, e senza troppi fronzoli, dalla parte dell’Ucraina di Zelensky e della Nato, dimostrando come il calcio sia veicolo e strumento di pressione politica non di secondo piano.
Perché nella scala dei valori della società emiliana, che ricordiamo essere la squadra del gruppo Mapei della famiglia Squinzi (non gli ultimi arrivati in termini di interessi economici) il pieno sostegno ad una precisa parte di mondo occidentale è decisamente più importante dell’aspetto tecnico e calcistico che avrebbe dovuto caratterizzare questa trattativa di calciomercato.
Una scelta che dunque preferiamo definire politica (altro che etica!) e che ci dimostra come non sia assolutamente vero che il Calcio e la Politica siano due mondi distinti e separati.
Determinati interessi economici e politici, sono e saranno sempre decisamente più rilevanti di una cessione – anche per un club di calcio – e forse faremmo bene noi amantə di un calcio che non c’è più ed attivistə a non dimenticarlo e ad agire di conseguenza dentro e fuori quello che è il mondo del calcio, ribadendo – ad esempio – che in questa sporca guerra non stiamo né con Putin né con la Nato, ma solo e sempre al fianco dei popoli che ne subiscono le più tremende conseguenze