Arabia Saudita: È di qualche giorno fa la notizia che l’Arabia Saudita, tramite l’ente turistico Visit Saudi, sarà uno degli sponsor dei Mondiali di calcio femminile che si terranno dal prossimo 20 luglio (fino al 20 agosto) in Nuova Zelanda ed Australia.

Una decisione unilaterale da parte della FIFA che avrebbe informato le federazioni australiane e neozelandesi solo ad accordo concluso, provocando l’immediata – e scontata – reazione di queste ultime abbastanza contrarie a dare spazio ad un Paese tutt’altro che rispettoso dei diritti della donna.

A prendere parola è stata l’ex stella delle “Matildas” et attuale co-presidente dell’Australian Professional Footballers’ Union, Kate Gill affermando che ” la Fifa è obbligata a rispettare tutti i diritti umani riconosciuti a livello internazionale e ad esercitare la sua influenza quando questi non sono rispettati o protetti” e che “l’obiettivo delle giocatrici è quello di rendere la Coppa del Mondo femminile 2023 un’occasione per promuovere il bene e continueranno a chiedere conto alla Fifa quando quest’ultima lo metterà a repentaglio”, non potendo non ricordare come l’Arabia Saudita tutto sia tranne che uno stato democratico e rispettoso anche dei più basilari diritti umani.

Una sponsorizzazione che, insomma, stride – e non poco – con quei valori di libertà, uguaglianza e rispetto che si vorrebbero veicolare anche attraverso il calcio femminile.

È bene ricordare, infatti, che in Arabia Saudita esiste ancora la cosiddetta “legge sulla tutela” per cui le donne hanno bisogno del consenso di un uomo per sposarsi e ottenere determinate forme di assistenza sanitaria, senza considerare che i tutori maschi possono anche intentare un’azione legale contro le donne per “disobbedienza” e assenza da casa.

Lo stesso paese in cui fino al 2018 le donne erano costrette ad entrare di nascosto e camuffate negli stadi pubblici per guardare le partite di calcio, rischiando l’arresto, poiché la legge ne impediva l’accesso.

Un paese che solo da qualche anno ha eliminato il divieto di guida per le donne e messo a punto degli emendamenti che consentiranno per la prima volta alle donne di richiedere documenti ufficiali come il passaporto per viaggiare all’estero in modo indipendente.

Tutto questo senza voler menzionare l’implicazione delle massime autorità saudite nell’assassinio in Turchia del giornalista Jamal Khashoggi ed altre questioni tutt’altro trasparenti che coinvolgono il paese Saudita tanto in patria quanto nello scacchiere geopolitico internazionale.

Se a tutto questo, per giunta, aggiungiamo le mire dell’Arabia Saudita per ospitare i Mondiali di calcio maschile del 2030 per proseguire e rafforzare quel ruolo di leader e partner economico di rifermento per l’Occidente nel mondo medio-orientale, provando a recuperare terreno nei confronti del Qatar, ci viene da sottoscrivere la denuncia di Nikita White, responsabile della campagna australiana di Amnesty International, che ha definito “la sponsorizzazione della Coppa del Mondo femminile da parte delle autorità saudite” come “un caso da manuale di riciclaggio sportivo”.

C Se la campagna Boycott Qatar, del resto, ci dovrebbe aver insegnato qualcosa è che per incidere e cambiare i piani di chi vuole utilizzare lo sport – ed il calcio in particolare – come “lavatrice” agli occhi del mondo è necessario prendere immediatamente posizione, costruire rapporti a livello internazionale con tutte quelle realtà intenzionate a fare qualcosa e non aspettare che sia troppo tardi …

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