Ieri sono stati presentati i risultati del rapporto Invalsi 2019. Non entriamo nel merito della discussione su valore e necessità di tali prove, ma vogliamo evidenziare i dati che ne sono usciti.

Non ci sono sostanziali differenze rispetto allo scorso anno. Nei vari gradi del ciclo scolastico, le ragazze e i ragazzi che ottengono risultati “adeguati” o “più elevati” in relazione agli standard indicati a livello nazionale sono il 65,4 per cento in italiano, il 58,3 per cento in matematica, il 51,8 per cento in inglese-reading (B2) e il 35 per cento in inglese-listening.
Uno studente su tre ha problemi di comprensione del testo, in Calabria addirittura uno su due. E’ evidente che moltissimi studenti, allo stato attuale, siano molto indietro e che l’articolo 3 della Costituzione italiana, che prevede che sia compito della repubblica provvedere al pieno sviluppo della persona umana, sia un’utopia.
La scuola pubblica italiana, a cui vengono puntualmente ridotti i fondi, vive uno dei momenti più tragici della storia e la situazione non sembra avere prospettive migliori.

Dal rapporto presentato, però, emerge una situazione ancora più tragica soprattutto nel sud Italia. In Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna gli allievi con risultati molto bassi arrivano al 20 per cento, se non al 25 per cento, anche in italiano. Un dato allarmante che evidenzia, qualora non fosse ancora chiara, la differenza impressionante fra nord e sud.
Il direttore generale degli invalsi Roberto Ricci, senza troppi giri di parole, ha affermato: “Possiamo dire che in larga parte del sud ci sono ragazzi che affrontano l’esame di terza media avendo competenze da quinta elementare”.

Dinnanzi a questo drammatico quadro, il progetto di legge sull’autonomia differenziata si rivela un clamoroso errore che porterà alla distruzione di una infrastruttura educativa e democratica già in stato precario.

Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha sminuito la gravità della situazione, esaltando senza ombre l’operato del suo ministero. Solo nell’intervento di Carmela Palumbo, a capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, sono state nominate alcune delle questioni emergenziali Ha ammesso che i finanziamenti del Pon (Programma operativo nazionale) non sono riusciti a contrastare le disuguaglianze. Ha evidenziato i pessimi risultati della lingua inglese, constatando anche la mancanza di un’adeguata classe docente. Non è raro, infatti, che a insegnare inglese siano maestri e professori che non padroneggiano bene la didattica della materia, ma nemmeno la lingua in modo corretto. Per risolvere il problema relativo alle quattro regioni meridionali ha ipotizzato la creazione di  “conferenze dei servizi” per discutere con le istituzioni territoriali una strategia comune per affrontare questa drammatica condizione. Proposta che cozza con quella sull’autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

L’analisi di questi dati ci dà lo spunto per evidenziare quanto sia importante che il governo si impegni per non abbandonare la scuola pubblica (e il discorso potrebbe essere esteso anche a sanità e trasporti), in particolare modo al sud. La forbice fra settentrione e meridione si fa sempre più larga e più passa il tempo e più sarà difficile per le regioni del sud Italia ridurre il gap che si è creato con quelle del nord.
Non bisognerà più stupirsi, infatti, se un giorno ad emigrare al nord non saranno solo gli universitari, ma anche i ragazzi delle scuole superiori. E, in un periodo come questo, in cui la migrazione in Italia non viene vista di buon occhio, si rischia seriamente di condurre il paese ad una clamorosa ed ancora più dura guerra fra nord e sud e fra poveri e ricchi.

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