Campi Flegrei: Non c’è pace ai Campi Flegrei. La terra trema di continuo. Sono scosse moderate, le più intense di magnitudo 3.0 o poco più, che non danno tregua. Ma l’ultimo sciame sismico che ha raggiunto magnitudo 4.2, verificatosi alle 3.35 la notte del 27 settembre (a tre chilometri di profondità), ha riacceso i riflettori sulle eruzioni dei supervulcani che possono sconvolgere ampie regioni ma che non devono creare allarmismi: sono fenomeni straordinariamente rari caratterizzati da molteplici segnali che permetterebbero, anche nel peggiore degli scenari, l’evacuazione delle aree più densamente popolate. Una minaccia invisibile che si scontra con un’inquietudine che è l’inevitabile effetto della geologia: i Campi Flegrei sono caratterizzati da diversi centri vulcanici situati all’interno e in prossimità di un’area depressa chiamata caldera che hanno dato vita a 2.895 scosse negli ultimi due anni.
Più delle tempeste sismiche, e addirittura allo stesso modo degli oggetti celesti in rotta di collisione, i supervulcani possono essere responsabili di una crisi dell’umanità. Le super-eruzioni avvengono con una certa regolarità, almeno ogni 50 mila anni, la metà del tempo medio in cui colpisce, invece, un asteroide. Non assomigliano ai vulcani tradizionali, spesso non sono neppure montagne, tantomeno a forma di cono; piuttosto si tratta di grossi “pentoloni” pieni di magma ribollente, e le loro eruzioni sono esplosive e difficilissime da prevedere. E non è solo l’eruzione da temere, con le sue mega-nubi ardenti che livellano ogni cosa, ma le conseguenze, tra le quali un generale abbassamento delle temperature su tutto il pianeta tale da renderlo addirittura inospitale alla vita.
I Campi Flegrei sono il nostro supervulcano, un sistema complesso e giovane, composto da una trentina di vulcani, formatosi circa 60 mila anni fa per collasso dopo un’incredibile eruzione di circa 80 chilometri cubi di magma (il tufo giallo napoletano venne prodotto circa 15 mila anni fa in quella che viene considerata l’eruzione più violenta di tutto il Mediterraneo): non a caso proprio qui, al Lago d’Averno (cioè “senza uccelli”, che non potevano sostenere il volo nell’area a causa dei gas vulcanici), le antiche geografie situavano la porta degli Inferi.
Proprio ai Campi Flegrei, nel 1538, nacque in pochissimi giorni un vulcano di tutto rispetto (il Monte Nuovo), preceduto da scosse sismiche e accompagnato da emissioni gassose e sollevamenti del suolo. Oggi il suo stato è quiescente, ma il livello è comunque di attenzione, vista anche la memoria sempre fresca del bradisismo (curiosa parola che contiene una contraddizione in termini, significando sisma lento, mentre è noto che i sismi sono per definizione istantanei), responsabile delle continue variazioni locali del livello del mare nel Golfo di Napoli.
Come si evince dalla posizione dei fori degli organismi litofagi sulle colonne (che testimoniano il livello raggiunto dal mare) dal momento della costruzione del cosiddetto Tempio di Serapide di Pozzuoli (in realtà un mercato romano, il Macellum), fino alla sua massima sommersione, il suolo si è abbassato di circa 10 metri nell’area, ma da allora (probabilmente nel Medioevo) il fenomeno si è manifestato in maniera ascendente o discendente (in connessione con la pressione esercitata dal magma in profondità) in tutti i Campi Flegrei. Dal 1982 al 1984 l’ultima crisi di sollevamento (circa 2 metri), accompagnata da circa 10 mila piccoli terremoti, che costrinse addirittura all’evacuazione di 40 mila abitanti. Dal 2005 il suolo è di nuovo in sollevamento fino a oltre un metro.
Non c’è un collegamento diretto fra il Vesuvio e i Campi Flegrei: più precisamente, la camera magmatica che alimenta questi ultimi dovrebbe essere ubicata sotto la città di Pozzuoli. «La camera si trova a circa quattro chilometri di profondità», spiega Luca De Siena (dell’Università di Aberdeen e dell’Osservatorio Vesuviano INGV), «ma è forse solo quella più superficiale. In ogni caso si potrebbe essere decentrata rispetto all’area flegrea, spostandosi verso Napoli». Come a dire che è ancora più difficile prevedere dove avverrà esattamente la prossima eruzione. La camera magmatica del Vesuvio è in una differente posizione, ma la fonte profonda dei due complessi vulcanici potrebbe essere comune, a oltre 10 chilometri di profondità. Studi recentissimi (2022, Journal of Geophysical Research, Paonita e Pappalardo) hanno meglio caratterizzato l’architettura geologica profonda con due principali fonti magmatiche, una fra 12 e 16 chilometri, responsabile del bradisismo degli anni Ottanta proprio per aver “innalzato” a circa otto chilometri di profondità tre chilometri cubi di magma. Da una seconda fonte, localizzata a otto chilometri di profondità, sono partiti invece i convogli idrotermali che alimentano l’attuale crisi in corso. In altre parole, sono i fluidi a governare i fenomeni più superficiali, non direttamente il magma.
Attraverso le analisi geologiche possiamo ricostruire una ipotetica futura eruzione del supervulcano dei Campi Flegrei, similmente a quanto già ricostruito per altri supervulcani, in particolare quello di Yellowstone, la cui eruzione esplosiva risulta in ritardo rispetto ai suoi cicli più violenti. Non si deve dimenticare che i Campi Flegrei sono tra i vulcani più controllati del mondo. Ma una nuova eruzione potrebbe svilupparsi come descritto di seguito. Un tremore improvviso annuncia all’intero bacino del Mediterraneo che il gigante si prepara all’eruzione. Tonfi e colpi dall’interno della Terra si risentono lungo la Campania costiera, mettendo in agitazione prima di tutto la fauna selvatica e poi i sapiens. Dopo qualche giorno una nube bianca a forma di cavolfiore si sprigiona dai Campi Flegrei, finendo per superare i 50 chilometri di altezza, con un’estensione impressionante. Da Napoli si scorgono lampi e fulmini spaventosi all’interno di pennacchi di nubi nere che avvolgono la grande nuvola cumuliforme bianca.
I terremoti incrementano di numero, frequenza e magnitudo e le vibrazioni non riguardano solo il terreno ma anche, per quanto possa sembrare strano, l’aria: tipicamente le eruzioni possono scatenare questo tipo di effetto, ma in questo caso l’aria che trema si spinge a centinaia di chilometri di distanza. A quel punto anche i colpi e i tonfi sordi diventano più forti e più spaventosi e nessun essere vivente in grado di muoversi resta nei dintorni dei Campi Flegrei. Per giorni questo tipo di fenomeni si ripetono con regolarità, con pause e accelerazioni improvvise e imprevedibili.
Grandi fratture cominciano ad aprirsi nel terreno: spaccature lunghe chilometri che arrivano a lambire la catena appenninica e sconvolgono i piccoli centri abitati. Gli abitanti vengono messi in salvo, grazie ai piani di evacuazione, poco prima che le spaccature del suolo stravolgano la morfologia del luogo e che tutta la regione inizi a sollevarsi sensibilmente. Come un gigantesco tumore, il pennacchio caldo al di sotto dei Campi Flegrei solleva la crosta terrestre per un raggio di chilometri.
All’improvviso la nube, ormai totalmente nera, collassa e si spande tutto attorno rovinando sulla regione: flussi bollenti, a oltre 500 gradi, e velocissimi, centinaia di chilometri orari, percorrono le valli e spianano le colline attorno. Una specie di aerosol rovente e carico di ceneri, lapilli e blocchi rocciosi ancora semifusi si precipita come una valanga ardente cancellando ogni forma di vita. Le ceneri più leggere si disperdono nell’atmosfera e iniziano a precipitare sui tetti delle case delle città vicine e poi di quelle più lontane, come Caserta e Salerno.
È possibile che a un certo punto l’eruzione si interrompa, dando modo a turisti e curiosi di venire in visita e agli scienziati di verificare lo stato di attività. Ma non troppo a lungo. Gli eventi precipitano, preannunciati stavolta dalla nascita di migliaia di nuove fumarole caldissime che costellano una regione di decine di chilometri quadrati. La rinnovata colonna di nubi eruttive viene alimentata in maniera impressionante e arriva a superare l’incredibile altezza di 100 chilometri. Ceneri cadono dappertutto accentuando un’oscurità grigia e minacciosa del cielo.
A quel punto arriva il botto. La detonazione si risente in tutto l’emisfero boreale: un boato fuori dalla comune esperienza dei viventi, seguito da uno spostamento d’aria massiccio come non se ne erano mai avvertiti. Un terremoto nell’aria che compie diverse volte il giro del mondo: a Londra come a Parigi, a Mosca come a Istanbul tutti gli uomini sentono, nel senso letterale del termine, che qualcosa di spaventoso è accaduto.
Contemporaneamente all’esplosione parte anche l’onda di base, il cosiddetto base-surge, una vera e propria ondata fisica che agita il terreno increspandolo come se fosse liquido e sposta ogni cosa. Un fenomeno noto agli uomini fin dal tempo degli esperimenti nucleari sotterranei e ai geologi che studiano quei particolari vulcani le cui eruzioni avvengono in presenza di acqua di falda o di laghi o del mare. Anche qui l’interazione acqua-magma amplifica di decine di volte la violenza dell’esplosione che non è possibile paragonare a nessun fenomeno prodotto dagli uomini, nemmeno a centinaia di bombe atomiche che esplodono tutte insieme.
Una tempesta di pietre roventi, lapilli e ceneri rende oscuro il cielo su tutta l’Italia centrale costringendo all’evacuazione gli abitanti delle città. Nubi ardenti (oggi più correttamente chiamate flussi piroclastici) si sviluppano per settimane, per fortuna sufficienti a evacuare una quantità impressionante di magma. Si chiudono gli aeroporti e la circolazione stradale diventa impossibile per via della pioggia di ceneri che cade fitta. La vita si ferma. Per fortuna i copiosi segni premonitori sono stati interpretati correttamente e l’esodo dei sapiens è stato completato in tempo.
Le ripercussioni economiche, sociali e politiche sono enormi. Nessun cittadino vuole lasciare capitali in banche o titoli: come a Pompei 2.000 anni fa, gli umani vogliono disporre dei loro beni paventando di dover lasciare i propri paesi. Le attività produttive vengono bruscamente rallentate e ci vorrà parecchio per ricominciare. Intanto il paesaggio è diventato un deserto di ceneri e lapilli, dove prendono ad agire le acque dilavanti delle piogge incessanti che hanno iniziato a cadere.
Colate di fango di dimensioni considerevoli si scatenano per mesi in tutta la Campania seppellendo ogni cosa. Qui, da sempre, lava non è solo il magma degassato eruttato dai vulcani, ma è – prima di ogni altra cosa – il torrente di melma che scende dal Vesuvio e investe uomini e case. Lava sono i 25 metri di fango che hanno sepolto per secoli Ercolano. Lava è il paio di metri di fango che ha spazzato via 150 vite attorno al Pizzo d’Alvano (Sarno) appena nel 1998.
Oggi la lava dei campani è fredda, scura e carica di detriti, è il frutto di mal concepiti disegni urbanistici, di una cronica mancanza di rispetto per la natura, di una gestione miope e incompetente delle aree abitate, della ricerca del profitto contronatura e dell’incredibile incapacità di integrarsi nell’ambiente. Mi è capitato spesso di sorvolare i Campi Flegrei, unico punto di vista dal quale (se si eccettua una discesa nella Solfatara) si percepisce per intero la vastità e l’intima natura vulcanica di quella terra letteralmente crivellata di crateri. Oltre alla Solfatara, solo il cratere degli Astroni è riconoscibile e rimasto integro (oggi riserva naturale), mentre gli altri sono stati adibiti agli usi più disparati, da base militare a ippodromo (Agnano), come se se ne fosse dimenticata l’origine.
Fonte NATIONAL GEOGRAPHIC ITALIA