Di Gabriele Granato
Qatar: “Il governo della Repubblica Francese e Sua Maestà il sultano sono d’accordo ad istituire in Marocco un nuovo regime per promuovere le riforme amministrative, giudiziarie, scolastiche, economiche, finanziarie e militari che il Governo francese giudicherà utili introdurre sul territorio marocchino.
Il Governo della Repubblica si concentrerà con il Governo spagnolo su quelli che sono gli interessi che questo governo esercita per la sua posizione geografica e dei suoi possedimenti territoriali sulla costa marocchina”.
Così recitava l’articolo 1 del trattato di Fez del 30 marzo 1912 che istituiva ufficialmente il protettorato francese in Marocco. Così cominciavano 44 anni di colonialismo francese (e spagnolo) in Marocco.
Perché il Marocco riacquisterà la propria indipendenza (sebbene continui tutt’oggi ad essere tremendamente dipendente dalla Francia) solo nel 1956 dopo anni di resistenza e lotta che lasceranno sul campo decine di migliaia di morti.
E così quella di domani sarà una partita storica (come del resto sono state quelle contro Belgio e Spagna) e non solo perché per la prima volta nella storia di un Mondiale una squadra africana si giocherà la possibilità di arrivare in finale.
Una sfida che – sicuramente – sarà speciale per il capitano dei Leoni del deserto, Romain Saïss, e per il centrocampista Sofiane Boufal (i cui festeggiamenti con la madre dopo la vittoria contro il Portogallo hanno fatto presto il giro del mondo) entrambi nati e cresciuti (anche calcisticamente) in Francia ma che hanno scelto di rappresentare il Marocco. Così come lo sarà per il centrocampista del Marsiglia Mattéo Guendouzi, che ha fatto la scelta contraria, scegliendo di rappresentare i colori della Francia nonostante il nonno marocchino e il papà franco-marocchino.
Una semifinale che metterà di fronte due nazionali che per motivi diametralmente opposti portano con sé il segno di decenni di colonialismo.
Da una parte la Francia che tra i suoi convocati ne annovera un buon 70% che ha scelto di rappresentarla – probabilmente più per prestigio sportivo che per altro – a discapito delle diverse nazioni – per lo più dell’Africa Continentale – da cui provengono le loro famiglie e che non esercitano lo stesso appeal della Francia calcisticamente parlando.
Dall’altra il Marocco che presenta ben 13 calciatori sui 26 totali nati e cresciuti – anche calcisticamente – tra Spagna, Belgio, Olanda e appunto Francia che – però – hanno deciso di rappresentare la terra d’origine delle proprie famiglie, fornendo anche una nuova prospettiva al concetto stesso di nazione ed identità nazionale. Un concetto che spesso si fonda sulla lingua (e sulla storia del Paese) che molti di questi calciatori padroneggiano a mala pena come dimostrato dal sopracitato Boufal che a domanda in arabo di un giornalista nel post partita di Marocco Portogallo ha chiesto (in francese) di poter fare l’intervista in francese.
Una partita che, dunque, vedrà sfidarsi calciatori che probabilmente non conoscono benissimo la storia o la lingua del paese che rappresentano contro calciatori che hanno scelto di rappresentare chi per decenni ha depredato la loro terra ed oppresso il proprio popolo, a dimostrazione di quanto questa partita, fuori dal campo di calcio, sia decisamente più complessa da interpretare e che sicuramente non può essere etichettata tout court come la partita tra i colonizzatori e i colonizzati, gli oppressori e gli oppressi.
L’unica certezza è che quello di domani sarà un match che avrà tanto da dire non solo sotto il profilo sportivo ma anche sotto quello politico poiché rappresenterà per milioni di marocchini sparsi nel mondo l’occasione di regolare – una volta di più – un conto aperto con la Francia nel 1912 e mai realmente chiuso.
Del resto le tensioni di queste ore a Parigi così come le roboanti reazioni delle comunità marocchine dopo le vittorie contro Belgio e poi Spagna, ci dicono che la discriminazione, l’emarginazione e la ghettizzazione a cui queste comunità sono sottoposte sono ancora oggi un qualcosa di irrisolto e che l’integrazione e la decolonizzazione sono processi decisamente più complessi e lunghi di quel che si vuole fare credere.