Di Gabriele Granato
“Ero uno di quelli che, una sera del novembre ’92, erano nell’angolo sinistro della porta sud del Pizjuan quando un bambino lanciò la carta argentata appallottolata del suo panino a Maradona. Diego, senza farla cadere a terra cominciò a dare spettacolo. Lo stadio intero e persino i difensori del Real Saragozza si fermarono, come paralizzati, ad ammirare le “assurdità” che l’argentino stava facendo con quella carta argentata appallottolata”.
In queste parole scritte da Francisco Garrido in occasione della morte di Diego Armando Maradona è racchiusa la straordinaria grandezza di chi non potrà mai essere considerato un uomo comune.
Un uomo capace di rendere possibile, fuori e dentro il rettangolo verde di gioco, quello che per tutti sarebbe stato impossibile anche al solo pensiero.
E forse è proprio per questo suo essere “straordinario” che l’Equipe due anni fa decideva di “celebrare” la sua morte con una prima pagina su cui campeggiava la scritta “Dieu est mort!”.
Perché Diego per chi è nato e cresciuto con il suo mito, le sue prodezze, le sue giocate che hanno sovvertito le regole della fisica, non era semplicemente un calciatore ma era quanto di più simile e vicino ad un Dio, che secondo Durkheim altro non è che la sublimazione del popolo, che Diego impersonificava a meraviglia.
Maradona, infatti, non solo è riuscito a creare un profondissimo legame tra sè e chi andava allo stadio per ammirare le sue follie e a far percepire due popoli – quello napoletano e quello argentino – maledettamente più simili e vicini di quanto non dicano le mappe geografiche, ma è riuscito soprattutto a diventare simbolo e riferimento della maggior parte dei dannati della terra.
Da Villa Fiorito a Fuorigrotta, quartiere popolare di Napoli che ospita l’allora stadio San Paolo e attuale stadio Maradona, passando per i luoghi e i quartieri più poveri e disastrati dell’intero globo (come dimostra il murales a lui dedicato ad Idlib in una Siria devastata dalla guerra) Maradona ha rappresentato – e continuerà a rappresentare – il riscatto di chi, destinato a mille sofferenze e ad una vita di stenti, sa che almeno una volta ce l’ha fatta.
Battere la Juventus degli Agnelli, decidere di rimanere a Napoli rifiutando di emigrare al nord o in Germania, aiutare le persone maggiormente in difficoltà, resistere alla superpotenza americana a difesa della piccola ma altrettanto enorme Cuba castrista e del Venezuela chavista, sono tutte facce di una stessa medaglia che ci parla di riscatto e dignità. Quella dignità che Diego con le sue giocate ha restituito a tutta Napoli che da quel momento in poi ha riscoperto la fierezza di essere la città più bella e importante del Sud.
Maradona è stato (e continua ad essere) questo e tanto altro: culto, religione, passione, dignità e genialità. Maradona è a tutti gli effetti icona popolare dei nostri tempi. La sua stessa vita ci parla di un Dio incredibilmente perfetto nella sua imperfezione, capace di sorprendere con le sue giocate in campo quanto di rialzarsi più e più volte lontano da un campo di calcio dopo essere sprofondato agli inferi.
Diego anche morendo ci ha dato una grande lezione perché ci ha dimostrato con la sua intera vita che l’impossibile può diventare possibile, che anche i grandi possono cadere sotto i colpi dei più piccoli e che non bisogna mai perdere la speranza o darsi per vinti ma andare avanti per la propria strada con determinazione, allegria e perché no genialità.
Dieu est mort…ma continua a vivere in ogni bambino che sogna di giocare e vincere un mondiale.